Perfezionismo vs umano

Spesso nei detti e credenze popolari si nasconde una sapienza antica che scaturisce sia dall’esperienza di generazioni, ad esempio osservando gli eventi naturali che accadevano, sia dal sentire e convinzioni che queste avevano nel profondo del proprio intimo. Ma capita che queste convinzioni non sempre siano da considerarsi assolute, a guisa d’imperativi categorici, perché possono, alle volte, portare a conseguenze negative. Vanno sempre vagliate attraverso un attento discernimento della situazione e, soprattutto, alla luce della fede che ha quale unico e definitivo obiettivo la pienezza della vita vissuta nella luce dell’amore (“pieno compimento della legge è l’amore” Rm 13,10; “Dio è amore” 1Gv 4,8). Riportiamo a proposito una riflessione di uno scrittore contemporaneo:

«Mi capita di elaborare l’inventario di quello che mi hanno lasciato i miei genitori. Perlopiù sono cose buone, se non decisive. Per esempio una nozione, deliberatamente semplice, dell’onestà: un concetto su cui non dovevano esserci sottili distinzioni. Poi il rispetto per gli altri. Poi l’amore per le idee.

Altre cose che mi hanno trasmesso sono più ambigue. Possono essere buone o meno buone a seconda di come si inseriscono nella struttura di una personalità. Fra queste la convinzione, radicale come un postulato etico, che bisogna sempre sbrigarsela da soli. Credo che il precetto venisse da lontano; da un’antica, quasi ancestrale, paura dei debiti.

Ci ho riflettuto molti anni dopo, esaminando la mia grande difficoltà ad accettare aiuto.

Sapersela sbrigare da soli è bene. Credere di doversela sbrigare sempre da soli, senza mai chiedere aiuto, è una debolezza travestita da forza. Se non sai chiedere aiuto, di regola non sai nemmeno cosa fare quando ti viene offerto spontaneamente, quando sarebbe morale accettarlo (e immorale rifiutarlo).» (Carofiglio G., La misura del tempo, Einaudi 2019)

Questa saggezza popolare, fatta di pochi e semplici accorgimenti per vivere in una società basata sull’onestà e il rispetto reciproco, riteniamo sia stata tramandata in famiglia a ogni persona. In fin dei conti si tratta di educazione, atteggiamenti da tenere nei confronti gli altri dettati dal buon senso. Ma l’autore rileva che in uno di questi, il “credere di doversela sbrigare sempre da soli, senza mai chiedere aiuto”, ci possa essere un inganno sottile nascosto, un effetto boomerang intrinseco a danno di chi cerca di metterlo in pratica, anche se in perfetta buona fede. Il non avere debiti in passato sicuramente richiedeva un’attenzione particolare, dato che in caso di insolvenza si potevano avere terribili conseguenze (di questo si trova traccia anche nel brano evangelico di Mt 18,23ss), o addirittura in certe circostanze essere costretti a una sorta di schiavitù (in alcune parti del mondo anche oggi si può constatare tale pratica estrema, regolamentata da leggi statali).

Il doversela sempre cavare da soli, senza chiedere mai aiuto a nessuno, se da una parte ci mette al riparo di eventuali beghe con la legge, dall’altra ci costringe a sforzi o privazioni estreme, oltre le nostre umane capacità, schiacciandoci in sensi di colpa e di nullità personali data l’inabilità a realizzare i propri progetti. Altro fattore rilevante è l’isolamento in cui si costringe chi cerca di attuare in modo rigoroso tale atteggiamento. L’uomo è per natura un essere sociale, la solitudine è per lui molto spesso deleteria e distruttiva. L’umanità creata a immagine e somiglianza di un Dio che è amore, invece, ha bisogno di socializzare, di vivere relazioni autentiche dettate dal vicendevole scambio d’amore, accoglienza, benevolenza, stima, amicizia, ecc. (“il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile»” Gn 2,18; “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole” Rm 13,8).

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