I pastori e le pecorelle, con i loro candidi mantelli, sono rivolti verso il centro della scena che, come punto di fuga prospettico, attira tutto a sé. Sopra la grotta, un angelo canta la gloria dell’Eterno che irrompe nel tempo, in questo tempo, nel mio adesso. La luce illumina quel centro e come fuoco scalda il palcoscenico di quello spettacolo. Il divino è nato, l’umano è risanato, rinnovato, di nuovo capace di restituzione, di contraccambio: rispondere con la vita alla vita datagli in dono. Capace nuovamente d’amore sincero.

I personaggi s’accalcano, s’affrettano per vedere lo spettacolo, per portare il loro dono.

Io quale personaggio sono? Con chi m’identifico?

Ognuno ha il proprio mestiere, il proprio ritmo. Tutti guardano a quella luce sfolgorante, divenuta ormai il centro del mondo, anzi dell’universo. Una stella arriva da lontano, ha con sé una scia di viandanti e pellegrini che anelano all’incontro. Vedere il Bambino e gioire stupendosi di questo piccino.

Ed io, adesso dove sono? Qual è il mio posto? Che cosa voglio? Verso cosa sto andando?

La musica continua il suo canto, la terra eleva la sua lode, il cielo guarda estasiato.

È nato il Bambino, portatore di vita, che profuma di latte, di aromi balsamici e incenso d’oriente. Di fragranza di pane, intanto, si cosparge l’intorno.

«È nato il Bambino!» Annunciano i pastori.

«È nato il Bambino! Che la festa cominci!»

Corriamo, andiamo a scaldarci il cuore a quel focolare. Facciamoci scaldare per tornare bambini. Lasciamoci amare per diventare felici, abbandoniamoci tra le sue braccia aperte, arrendiamoci al suo sorriso sdentato. L’amore che salva è venuto a visitarci, è venuto in mezzo a noi: per riparare la sua creatura, per aggiustare il coccio rotto e imprimere nuovamente la sua immagine, forgiandolo nella fornace del suo eterno amore. E togliergli ogni dubbio.

«È nato il Bambino! Che la festa cominci!»

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