Inizio di un cammino: Alessandro si racconta. 3

Discernere invece, deriva dal latino “cernere” che significa, separare, distinguere, più semplicemente vedere chiaro, sia con la vista degli occhi che con l’intelletto. Discernimento vocazionale quindi, alla luce di queste premesse, è facile intenderlo come l’attuare un cammino, sotto la guida di un padre spirituale e di un maestro, per cercare di comprendere a cosa il Signore ti stia chiamando a vivere. Quale e dove sia il tuo posto in questa esistenza terrena, distinguendolo, vedendolo chiaro, in mezzo alla frenesia del tempo che alle volte non ci permette nemmeno di ascoltare quella voce di Dio che parla al cuore di ognuno di noi. Non è certo cosa da poco, ci vuole costanza, preghiera profonda, continua, e molta pazienza. Il Signore sempre chiama, è una realtà che si constata; anche coloro che non sono chiamati ad una vita di consacrazione speciale, come può essere la vita religiosa, ma alla famiglia o ad altre missioni, ma tutti ricevono una chiamata, d’amore, alla quale bisogna rispondere.   

Fin da piccolo sono cresciuto in una parrocchia retta dai frati minori Cappuccini, e il desiderio un giorno, di poter essere frate come loro, per vivere quella gioia, che vedevo esprimersi dai loro cuori e dal vigore delle loro vite semplici ma profonde, tutte in Dio, mi ha accompagnato lungo gli anni della mia crescita e dei miei studi. Desideravo rispondere a quella voce interiore che mi faceva sentire di essere cercato, desiderato, amato profondamente. Con il passare degli anni, avendo acquisito più maturità, capivo che ciò che cercavo fuori di me, era come fosse assordante, bello sì, ma dopo poco spariva, senza alcuna soluzione, facendomi persistere nel cuore una voce che mi chiamava a sé, ma che ancora non riuscivo a distinguere. Per spiegare questo, tengo a cuore delle righe che lessi, ai tempi delle scuole superiori, dal diario di Albino Luciani, poi divenuto Papa Luciani, il papa del sorriso. Quest’ultimo era solo un giovane seminarista quando nel suo diario personale, relativamente alla chiamata della sua vocazione scriveva:” Quando ci si chiama fra noi uomini, la chiamata è chiarissima. Quando chiama Dio, la cosa è diversa; niente di scritto o di forte o di evidentissimo: appena un sussurro lieve, un sottovoce, un ‘pianissimo’ che sfiora l’anima”. È proprio così, lo è stato anche per me, ed è per questo che il discernimento necessita sempre di tempo, di pazienza, abbandonando ogni fretta. A volte può tale chiamata vocazionale può essere coperta o soffocata da dinamiche emotive e meccanismi psicologici da ordinare, purificare. Poi, durante le scuole medie e all’inizio delle scuole superiori, attraverso dei bei percorsi di discernimento, vi è stata la svolta decisiva: il riconoscere in me la presenza di un Tu dimorante, sempre più coinvolgente e innamorato della mia vita, della mia persona. Un’esperienza di bellezza che mi ha condotto lentamente ad una scelta di vita: fare spazio alla presenza amante del Signore Gesù in quel piccolo vaso che sono, tra le mani del suo grande vasaio. Dopo aver compreso come il Signore mi stesse chiamando alla vita consacrata, con degli amici ho conosciuto successivamente l’Eremo di Montecasale e il convento de “Le Celle” di Cortona, e fu proprio in questi luoghi, che ho scelto definitivamente di iniziare il mio percorso vocazionale. Chiunque frequenti gli eremi appena citati, non può non venirne inebriato dall’atmosfera, satura di francescanesimo, e straripante dell’animo del Poverello di Assisi, e da esso venire aiutato, sul valore dell’essere e del vivere da frati minori. Fatti alcuni colloqui con i frati responsabili dell’accoglienza, seguiti da molta preghiera, sono stato accolto fra gli aspiranti Cappuccini della Toscana, condividendo il quotidiano della vita di convento.

I valori che nella vita francescana mi hanno da sempre attratto sono la fraternità e la minorità vissuti nella concretezza della vita quotidiana. Tali valori li trovo di una profondità evangelica che non ha paragoni. In convento si vive tutti da fratelli tra fratelli, senza disuguaglianze o gerarchie atte a generare distanze. Anche questo non è sicuramente facile, è un cammino e non lo si improvvisa, né lo si compie solo con le proprie forze, ma sempre nel Signore, facendo scorrere tra di noi la forza dinamica del suo Santo Spirito. Così ad esempio, puoi trovare il padre provinciale che lava i piatti per la fraternità, o il guardiano che quotidianamente assiste con amore i frati anziani in infermeria ed è sempre al lavoro per il bene della fraternità, o uno dei frati più anziani che dopo una piccola “rimbeccata” con un confratello, lo stia cercando per chiedergli sinceramente scusa e di perdonarlo, ritornando nella pace dei rapporti che il Signore ci chiede di intessere fra noi. La fraternità francescana è un grande segno anche per il mondo attuale e le sue relazioni. Uno sguardo anche solo un poco attento ci farebbe scorgere una realtà drammatica: quanto più le distanze a livello mondiale si accorciano e i tempi si abbreviano, tanto più si scava un abisso di solitudini insondabili. Se è facile venire a conoscenza di ciò che accade al polo opposto del globo terrestre, diventa paradossalmente sempre più difficile instaurare un vero dialogo fraterno con il vicino di casa, o tra i membri di una famiglia. Nella fraternità si gioca proprio tutto questo, assieme ai frati la si vive come un processo di conversione, umanamente parlando impossibile, ma che diviene realizzabile in forza della grazia scaturita da Cristo, venuto sulla terra proprio per restaurare il legame di fraternità spezzato da Caino. All’indifferenza di Caino, uccisore del fratello, Cristo a contrapposto il più responsabile coinvolgimento, e così anche noi uniti a Lui possiamo dire:” Sì, io sono il custode di mio fratello” e in lui cerco di vedere il volto di Dio che è per me motivo dono. Fin dal primo momento in cui sono entrato in convento questa atmosfera, a dir poco familiare, mi ha colpito e incoraggiato a farla mia e a condividerla. San Francesco nel suo testamento scrive: “Il Signore mi donò dei fratelli”, e infatti la vita di fraternità più la si vive e più si comprende come sia un dono che il Signore dà a tutti coloro, che, pur non essendosi scelti, vivono insieme uniti nell’intento di seguire e amare Lui. Uniti in convento, si cerca di prestar fede alle parole del Maestro che dice: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16) e a rimanere nel mio amore. (continua)

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