beato Contardo Ferrini (1859-1902)

Contardo nacque a Milano nel 1859, in quel periodo pieno di tensioni e venti di guerra che furono gli anni del Risorgimento. Educato in una famiglia religiosa, si dimostrò al tempo stesso di intelletto vivace e impegno nello studio. Si laureò a soli 21 anni in Giurisprudenza a Pavia, con una tesi sul contributo che i poemi di Omero ed Esiodo hanno portato alla storia del diritto penale. Negli anni dell’università unì alla brillantezza degli studi una fede salda, capace di affrontare le derisioni dei compagni, temprata sui monti delle Alpi, che amava scalare, contemplando il libro scritto di proprio pugno dal Creatore.

Dagli studi Contardo passò all’insegnamento universitario. Dopo una borsa di studio presso l’università di Berlino, nel 1883 conseguì la libera docenza in diritto romano, prima all’università di Pavia, poi nel 1887 a Messina, nel 1890 a Modena, ritornando a Pavia nel 1894 dove rimase fino alla morte, Dalla cattedra fu docente competente, chiaro e pieno di passione; di cultura profonda, spaziando dal diritto alla filosofia, dalla glottologia alla letteratura. Il suo trattato sul diritto penale romano fu fondamentale. Si distinse anche per il suo carattere amabile e fraterno verso colleghi e studenti. Rimasto celibe, sosteneva apertamente di avere sposato la scienza, da lui intesa come peculiare strumento di collaborazione al Regno di Dio. L’impegno cattedratico, i suoi duecento scritti sono stati la sua vera offerta spirituale a Dio gradita. Per la sua originalità nell’esplorare le fonti e nell’indagare problemi ancora insoluti, Teodoro Mommsen affermò che «il secolo XX per gli studi di romanistica si sarebbe intitolato al professor Ferrini».

Alla docenza, Contardo seppe unire l’impegno politico e sociale: fu consigliere comunale di Milano per quattro anni, partecipando al tempo stesso alle attività caritative delle Conferenze di san Vincenzo. Improvvisamente, nell’estate del 1902, mentre si trovava in villeggiatura a Suna, sul lago Maggiore, contrasse il tifo, bevendo ad una fontana infettata e il 17 ottobre moriva a soli 43 anni. Profeticamente, durante la sua permanenza a Modena, aveva confidato ad un amico: «Quanto a me, preferirei morire nella mia Suna. Se la morte mi cogliesse qui in Modena disturberei troppe persone, il rettore dell’università, i professori, le autorità dovrebbero scomodarsi in mille modi; a Suna mi accompagnerebbero all’ultima dimora soltanto gl’intimi, la gente del paese, i bambini, i poveri, quelli che soffrono, quelli che pregano, quelli che veramente giovano all’anima». È stato beatificato nel 1947, proposto come modello del laicato cattolico, capace di unire competenza e serietà nella professione, testimonianza evangelica nella vita sociale e personale. La sua fede limpida ci è testimoniata da scritti e preghiere, raccolti in diari composti fin dall’età giovanile, come quella che inseriamo:

«Io non saprei concepire una vita senza preghiera, uno svegliarsi al mattino senza incontrare il sorriso di Dio; un reclinare il capo la sera, senza il pensiero a Dio. Una tal vita dovrebbe assomigliare a notte tenebrosa, arida per un tremendo anatema di Dio … come si possa durarla in tale stato è per me un mistero. Io supplico il Signore che la preghiera non abbia mai a morire sulle mie labbra. Sì, perché quel giorno che tacesse la preghiera, vorrebbe dire che Dio mi ha abbandonato».

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