Nell’editoriale della rivista Voce francescana (4/2021), il Ministro Provinciale dei Frati Cappuccini delle Marche fra Sergio Lorenzini, riflette sul fenomeno diffusosi negli ultimi decenni del ‘camminare’.

Fra Sergio rileva che la ragione della crescente riscoperta dei cammini consiste in una sorta di reazione ai mali che affliggono le nostre moderne società. Il Ministro delle Marche individua quattro motivi principali, dai quali derivano altre conseguenze «deleterie per la persona».

1- L’eccessiva velocità, da cui deriva «quel senso di frenesia che accompagna ogni singola azione» e «lo stress schiacciante che l’imposizione di questo ritmo disumano provoca». A questo penso che possa associarsi l’efficientismo cui siamo chiamati, come se la salvezza della nostra esistenza, e del mondo intero, dipendesse dalla riuscita di ogni nostra singola azione. Lo scoprirci limitati, impossibilitati a realizzare una perfezione che non ci spetta raggiungere secondo le attese dettate dalla realtà tecnicista-finanziaria moderna, ci innesca sensi di colpa e frustrazione, sfociando spesso in depressione o ricerca dei responsabili dei nostri insuccessi all’esterno, alimentando in tal modo i conflitti sociali e quindi il disagio delle persone.

2- La prigionia tecnologica dalla quale derivano «il distacco dalla natura, l’atrofia dei sensi, il disincanto di fronte al mondo, l’assenza di un sano piacere per mancanza di condizioni atte a gustare la bellezza di un panorama, di un profumo, di un suono, di un sapore, o del toccare ed esplorare il mondo con le mani, come facevamo da bambini.» In poche parole, questo secondo motivo causa l’assottigliarsi della capacità di stupirsi, di provare meraviglia, di vedere la bellezza che circonda l’uomo, rinchiudendolo in un mondo ipotrofico, ripiegato su e fine a se stesso, fittizio, virtuale, bloccandolo dentro la promessa di una felicità e completezza di vita che non può realizzare. Anche Papa Francesco, nel discorso fatto ai giovani il 6 dicembre 2021 nel suo viaggio in Grecia, afferma a riguardo: «Vuoi fare qualcosa di nuovo nella vita? Vuoi ringiovanire? Non accontentarti di pubblicare qualche post o qualche tweet. Non accontentarti di incontri virtuali, cerca quelli reali, soprattutto con chi ha bisogno di te»; «Tanti oggi sono molto social ma poco sociali: chiusi in sé stessi, prigionieri del cellulare che tengono in mano. Ma sullo schermo manca l’altro, mancano i suoi occhi, il suo respiro, le sue mani. Lo schermo facilmente diventa uno specchio, dove credi di stare di fronte al mondo, ma in realtà sei solo, in un mondo virtuale pieno di apparenze, di foto truccate per sembrare sempre belli e in forma. Che bello invece stare con gli altri, scoprire la novità dell’altro! Interloquire con l’altro, coltivare la mistica dell’insieme, la gioia di condividere, l’ardore di servire!»

A questo è legato il terzo motivo evidenziato nella riflessione da fra Sergio.

3- L’intimo isolamento, che «ci ricorda che la moltiplicazione di relazioni superficiali non supplisce al desiderio di condivisione profonda: nelle relazioni la quantità non sostituisce la qualità e la persona dalle mille relazioni si ritrova sola nell’intimo, con un malinconico senso di solitudine che non sa colmare.»

Sono le relazioni autentiche che danno il gusto della vita, della condivisione, del costruire insieme, che generano l’edificazione della persona. Tale autenticità può avere il nome di amicizia, amore, familiarità, fratellanza, fraternità. Creano legami profondi, che costituiscono la bellezza e il gusto della vita. Le (pseudo) amicizie che s’instaurano sui social, con soggetti mai visti, di cui spesso si conosce solo un nickname e ciò che l’altro vuole farci vedere, anche se non corrisponde a verità, non possono certo definirsi tali nel vero senso della parola. Il vero amico è colui per il quale siamo disposti a giocarci anche la nostra vita, come ci insegna il nostro Signore Gesù, con le parole e col suo esempio: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.» (Gv 15, 12-13.15)

In greco l’amicizia (filìa) è una forma d’amore, proprio per questo è vero amico solo colui con il quale si condividono cose importanti e sostanziali della propria esistenza. Le relazioni autentiche, così, sono la cura all’intimo isolamento imperante soprattutto nelle società ed economie considerate più sviluppate.

4- La perdita di senso, che è la logica conseguenza di quanto fin qui detto, perché «l’uomo di oggi procede ma non cammina, si muove ma senza meta, avanza privo di un perché. L’orizzonte che dà senso alla vita e conferisce la motivazione ad ogni passo è dissolto. Procediamo disorientati.»

Tale situazione esistenziale è dell’uomo di ogni tempo («Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore.» Mt 9,36; «Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.» Mc 6,34), alla quale può uscirne solo ricentrando la sua esistenza, il suo andare, su Dio e, partendo da Lui, sulle cose essenziali: autenticità, sincerità, rispetto della vita, amore vero.

Il cammino così diventa metafora dell’esistenza. Ogni passo è il respiro del nostro stare al mondo. Nel procedere del cammino ne scopriamo il senso. Crescendo nella consapevolezza ci avviciniamo alla meta del nostro viaggio.

Per chi volesse approfondire questi argomenti, suggerisco due testi di Martin Buber, filosofo e teologo del secolo scorso (1878-1965): Il cammino dell’uomo e Il principio dialogico.

Fra Sergio termina la sua ricca riflessione constatando che «il cammino è una terapia integrale che ricentra l’uomo sull’essenziale e gli restituisce una gioia semplice e pura. Chi diventa pellegrino si ritrova più felice, comprende che più si è leggeri meglio si cammina, e che la gioia è fatta di poche cose, quelle giuste.»

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