COME UN BIMBO SVEZZATO IN BRACCIO A SUA MADRE

Roberto Ferruzzi, Maternità, 1897

Reciprocità: “I care” (Scuola di Barbiana)

            A monte di una comunicazione ad extra c’è, e deve esserci sempre, un momento di riflessione e di preparazione, per riordinare le idee e stabilire il metodo dell’informazione: anche la fretta, il disagio e l’improvvisazione non costituiscono eccezioni, ma sono, secondo i casi, scelte precise o necessità ineludibili, comunque consapevoli, che condetermineranno i contenuti del messaggio notificato e la durata dell’incontro.

            È questo il senso dell’infinito riflessivo “comunicarsi”, con valore di reciprocità, inteso come la previa comprensione interiore tra io e me stesso, in modo da oggettivare la notizia: so di certa scienza di che cosa devo parlare prima di comunicare. D’altro canto il dialogo interiore collocherà l’oggetto della comunicazione nella sua particolare cornice emozionale. Devo trovare un modo di espressione semplice, sincero, completo; con la previsione delle possibili diverse reazioni: un grido, un silenzio, un mancamento, una rassegnazione, una ribellione,… perché si tratta, appunto, di “una brutta notizia”. Quella che è un po’ sempre la dialettica tra “verbum mentis” e “verbum oris”, può acuirsi, nei casi più gravi, fino a diventare conflittualità di principio e di fatto tra il vero, l’opportuno e un loro, se possibile, giusto equilibrio.

            Per esemplificare, supponiamo che provati e mirati accertamenti clinici abbiano evidenziato la presenza di un neuroblastoma. L’Operatore, che necessiterà, tra l’altro, di consenso informato per procedere nell’applicazione del protocollo del caso e di ogni altro trattamento comportante rischio, dovrà preliminarmente comunicare l’infausta diagnosi a chi esercita la patria potestà (e un breve elenco di possibili e probabili reazioni, per quanto molto sommario e parziale, è già stato più su considerato). Secondo l’età, dovrà essere informato, in parte o in tutto, anche il minore ivi degente, che avrà le sue reazioni: pianto, smarrimento, stupore stordito…; avrà le sue domande da fare: vorrà sapere se guarirà, entro quanto tempo; oppure rimuoverà la notizia, continuando a giocherellare, chiedendo di andarsene a casa…: due diversi e tra loro intersecati equilibri. Potrebbe non essere opportuno dire al paziente tutto quello che va detto ai genitori, ma non si potranno dare notizie anche solo eventualmente percepibili come contraddittorie tra loro, generando ulteriori difficoltà nelle relazioni parentali.

            Ancora: si trattasse, per dire, di un sarcoma di Ewing in paziente maschio pubere; tra gli altri problemi da affrontare e comunicare c’è come parlare e parlargli della previsione d’una possibile o probabile infertilità:… presentare il problema come oggettivamente possibile; accennare o addirittura concretamente suggerire il prelievo e il modo del prelievo del seme; sorvolare l’argomento; prospettare aperture verso future eventuali adozioni, considerando l’amore in una dimensione più ampia, sublimata, profondamente umana? Una panoramica al riguardo, relativamente equilibrata e completa, suppone una corrispondente formazione della propria coscienza capace di educazione e rispetto della coscienza altrui.

            Non può non esserci un disagio profondo nel comunicatore di brutte notizie: disagio che diventa addirittura spiazzante quando esplodono reazioni, diciamo, “scomposte”. Non esistono “ricette” di comportamento già pronte, nel senso che è imprevedibile la quantità e l’intensità di elementi che andranno ad intrecciarsi nell’animo dell’ascoltatore ed è incognito come e quanto l’iniziale monologo si trasformerà in dialogo.

            Quanto agli aspetti etici, si suole parlare di etica basata sui principi e di etica basata sul prendersi cura. Mi limito a richiamare un noto schema essenziale, per lasciare qualche momento ad un sintetico ed assai parziale approfondimento.

1) – Etica basata sui principi: si tratta di una teoria conosciuta, elaborata nel 1994 dagli americani Beauchamp e Childress. Il modello sottende quattro principi:

            • Fare del bene

            • Evitare il danno

            • Rispettare l’autonomia altrui

            • Giustizia ed equità

2) – Etica basata sul prendersi cura: la docente di Scienze dell’educazione a Harvard, Prof. Carol Gilligan, nel 1996 ha elaborato una teoria etica che propone:

            • L’importanza morale della relazione interpersonale

            • Responsabilità della cura altrui

            • Risposta ai bisogni altrui

            • ‘Gettare un ponte’ verso gli altri

            Passo oltre l’etica dei principi, supponendo che possa certamente essere precisata e interpretata (cos’è il bene: un assoluto, concretamente iscritto nella situazione, oppure esclusivamente espressione di relativismo?), ma non possa essere propriamente contraddetta (non è pensabile che, per esempio, assurga a rango di principio fare del male). Sull’etica del prendersi cura vorrei invece intervenire e, come si dice, provocare.

            Se non si tratta di un trasferimento da altra Unità sanitaria, ci sarà pur stato un periodo di degenza, anche breve, nella struttura sanitaria in cui è andato maturando l’accertamento diagnostico, durante il quale il paziente sarà stato sottoposto ad esami e prelievi e si sarà interloquito con lui e con i familiari di lui. Questo è il momento privilegiato e impegnativo per stabilire una relazione interpersonale: con il paziente, in modi diversi e articolati; con i genitori in modo diretto, sempre.

            Segue che quando si dovesse poi essere latori di pesanti notizie, allora non saremo facce nuove, quasi, direi, volutamente celiando, una sorta di temuto iettatore che esce fuori solo per il malaugurio; i genitori avranno potuto sperimentare la nostra precedente e costante assiduità di rapporto e la carezza o, secondo i casi, la battuta “virile” con cui ci siamo rapportati con il loro figlio. Insomma, non saremo ai loro occhi unicamente (e sperabilmente) dei competenti e sperimentati professionisti e/o ricercatori; siamo prima di tutto e, conseguentemente, ci presentiamo come un babbo o una mamma, anche quando non abbiamo figli nostri, perché quello che ci motiva, prima ed oltre ogni personale credo religioso, è la convinzione cardine dell’esistenza e della sua filosofia:

            «’E figlie so’ ffiglie!»(1).

(2. continua)

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Note

(1) Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni dispari: Filumena Marturano, 1946.
            L’insuperabile tautologia ricorre quattro volte, come fosse un ritornello o addirittura il sottotitolo della commedia:
            «nnanz’ all’altarino d’ ’a Madonna d’ ’e rrose». («Erano ’e tre dopo mezanotte. P’ ’a strada cammenavo io sola.»; dunque «È stata ’a Madonna!» ad affermare “’E figlie so’ ffìglie!”).
            La seconda volta, come una certezza conquistata e posseduta, viene dalla bocca di Filumena; provoca in lei una risposta che è un giuramento sull’inviolabilità della vita nel grembo materno: «“’E figlie so’ ffìglie!”. E giuraie».
            La terza e la quarta volta è Domenico Soriano, diventato finalmente marito di Filumena, che se lo ridice, «’E figlie so’ ffiglie!», prima come a volersi convincere di una paternità effettiva e affettiva allargata a tre, dove quella naturale si sarebbe di per sé limitata ad un solo figlio; poi come una convinzione certa, condivisa pacificatrice.

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