Prima dell’avvento dell’energia elettrica, il focolare era il centro della vita domestica: nel camino c’era il paiolo con il quale si cuoceva il cibo per tutta la famiglia; il fuoco del focolare era la fonte di riscaldamento per tutta la casa, da esso si attingeva la brace e la cenere per gli scaldini dei letti e delle camere. Attorno al fuoco si riuniva la famiglia, si ammirava la fiamma muoversi e investire i volti di luci e ombre, gli anziani narravano storie, si davano le notizie dei fatti accaduti, si pregava insieme e si trasmetteva e cresceva la fede. Gli amici si raccontavano per quello che erano, aprivano il proprio cuore all’altro e, con semplicità e sincerità, ci si conosceva nel profondo. Se si stava in silenzio ad ascoltare il crepitio della fiamma che ardeva si entrava in intimità con se stessi, con la parte più preziosa dell’essere umano: la propria coscienza.

Così il calore del camino non solo scaldava i corpi ma soprattutto i cuori.

Le persone per conoscersi raccontavano la propria storia. Ognuno di noi è una storia, la nostra, quella della propria vita vissuta.

Oggi il focolare è sostituito con il televisore o il computer. Le storie che ascoltiamo spesso sono inventate, non corrispondenti a qualcosa di vissuto, sono false o falsificate almeno in parte, non sincere. Di questo ne risentono molto le relazioni interpersonali, scandite dalla diffidenza, dall’insicurezza sulla autenticità della storia raccontata dall’altro. Troppo spesso i nostri rapporti sono caratterizzati dalla superficialità, dall’apparenza, dalla non verità. Sono relazioni vuote, inautentiche. Anche i social network, che dovrebbero mettere in contatto le persone, non le mostrano, non si vede il volto dell’altro, l’espressione del suo viso; sono visibili soltanto i dati di ciò che l’altro vuol far sapere di sé. Queste relazioni non danno calore umano, non scaldano i cuori. E soprattutto non trasmettono e non alimentano la fede. Al massimo possono dare dati, notizie, ma la fede viva è una questione di fuoco, di cuore a cuore. Essa non la si può neppure attingere da un libro ma è un’esperienza da vivere.

Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Gv 1,38-39

Anche Gesù ai primi discepoli dirà di non rimanere solamente spettatori esteriori, ma di andare a provare in prima persona dove si trova quella casa che tutti cerchiamo, però senza sapere bene dove cercarla: la felicità.

Una poetessa del XIX sec. così scriveva, illuminando anche la nostra realtà umana del XXI sec.:

Una volta, chi moriva

sapeva dove andava –

Andava alla destra di Dio.

Ora, questa mano è amputata

e Dio non si trova più.

La rinuncia alla fede

fa assumere comportamenti meschini –

Meglio un fuoco fatuo

che una completa oscurità.

1882

(Dickinson Emily, Una volta, chi moriva, in Poesie, New Compton 2021, trad. it. Sobrino G., p.157).

La fede è spesso rappresentata come un cammino, un andare verso un luogo, verso una dimora dove trovare stabilità e pace.

Sant’Agostino così scriveva a proposito: «ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te.» Le Confessioni, 1,1

Un autore contemporaneo, romanzando la storia di Abramo, così immagina un possibile dialogo tra il patriarca bambino e il nonno Nacor:

«Sai perché siamo un popolo nomade?», chiese il nonno Nacor al piccolo Abram. «Perché abbiamo nostalgia di casa», continuò sorridendo, mentre osservava il volto stupito di suo nipote.

«Che cos’è la nostalgia, nonno?»

«La nostalgia è quando ti manca qualcosa che ami».

«Questo accampamento non è la nostra casa, noi ci vivremo ancora per poco; un giorno, quando tuo padre sarà pronto, smonteremo le tende, prenderemo tutti i nostri averi e partiremo per un nuovo posto che il Signore ci indicherà».

«Andremo a casa?»

«Sì, piccolo mio».

«E dove si trova?»

«La nostra casa è il cuore di Dio. In ogni altro luogo, noi saremo sempre degli stranieri».

«Quando torneremo a casa?», chiese Abram.

«Quando lo desidereremo più di ogni altra cosa», rispose il nonno, guardandolo teneramente.

«E tu lo desideri, nonno?»

«Con tutto me stesso».

«Allora, sono certo che presto partiremo!», affermò esultante Abram, mentre i suoi occhi risplendevano di gioia.

(Di Fiore E., Nostalgia di casa, Paoline 2021, p.9-10).

Tocca a noi desiderare d’intraprendere il viaggio, non da soli però, ma mano nella mano con Dio, per giungere a essere cuore a cuore con Lui. «Venite e vedrete», questo invito è rivolto a tutti, tocca a ognuno rispondere personalmente. Potrebbe essere anche la risposta alla nostra più profonda richiesta esistenziale: «Signore mostrami la Tua, e la mia, casa!»

Buon viaggio ai coraggiosi. Buon ritorno a casa.

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