I Avvento – anno A (Mt 24,37-44)

Come ogni anno all’inizio dell’Avvento la liturgia ci propone una parte dei discorsi di Gesù prima della sua passione, discorsi che hanno come riferimento la venuta del Figlio dell’uomo alla fine della storia. Per quanto breve, il brano del Vangelo di oggi è composto di due parti, dove la prima introduce la seconda. Secondo la narrazione di Matteo, i versetti 24,37-41 sono un piccolo discorso di Gesù che introduce tre parabole sulla fine della storia e il ritorno del Figlio dell’uomo. I versetti 24,42-44 costituiscono la prima di queste parabole. Una lettura possibile, quindi, può partire dalla riflessione sul testo, trovando nel tempo liturgico un riferimento importante per potersi incentrare sulla nostra esperienza personale.

Gesù offre un paragone con il tempo precedente il diluvio, secondo la narrazione biblica. Di per sé, secondo Gn 6,5-8, il diluvio è conseguenza di un pentimento del Signore davanti alla malvagità estesa degli uomini. Solo Noè con la sua famiglia trovò grazia ai suoi occhi. E su questa linea è continuata la lettura giudaica dell’avvenimento, anche all’epoca di Gesù. Le parole di Gesù, invece, non presentano alcun giudizio negativo sul comportamento dell’umanità di allora, ma mettono in evidenza come fossero tutti impreparati. Di conseguenza chi ascolta deve necessariamente sentirsi chiamato in causa dall’arrivo inatteso e imprevedibile del ritorno di Cristo sulla terra. La sua «parusia», come si dice in linguaggio biblico e teologico, avrà un carattere tragico, di separazione, in base a criteri che il Vangelo non dice, lasciando nel lettore un senso di indeterminatezza drammatica. Per sciogliere questo nodo vitale seguono tre parabole, la prima delle quali si presenta paradossale, perché la sua applicazione alla vita dei discepoli appare contraddittoria con il testo a cui fare riferimento. Il padrone di casa non può vegliare ogni notte per evitare che il ladro operi un «furto con scasso» nella sua abitazione; invece, se sapesse l’ora veglirebbe. Ma ai discepoli Gesù chiede di vegliare in ogni caso, perché la venuta del Figlio dell’uomo avverrà in un’ora inaspettata. Termine di paragone, che fa da cerniera tra la parabola e l’appello di Gesù è proprio l’indeterminatezza dell’ora, verso la quale siamo invitati ad un atteggiamento costante di veglia.

Veglie di preghiera erano in uso nella prima comunità dei discepoli, in continuazione con la tradizione giudaica. Basta pensare alla veglia pasquale. Queste veglie liturgiche assumono il valore simbolico di una tensione nella preghiera, che dovrebbe segnare la vita dei discepoli di Gesù. Inoltre, un secondo rinvio simbolico è alla veglia del Signore nell’orto degli ulivi, prima della sua passione. Allora, non ebbe la compagnia nemmeno dei tre discepoli che si era preso con sé, incapaci di resistere al sonno. Al contrario, si narra di Chiara d’Assisi, che, meditando quel momento della passione di Cristo, stesse proprio «in preghiera col Signore in preghiera».

L’invito a vegliare con Cristo accade in una dimensione liturgica. Con questa domenica entriamo nel tempo dell’Avvento, inizio dell’anno liturgico. La differenza moderna tra il ritmo temporale civile e quello della chiesa non è trascurabile, ha un suo specifico valore. Ci ricorda l’incrocio fra la misurazione del «tempo degli uomini» e quella del «tempo di Dio». Nella fede siamo chiamati a vivere questo incrocio, attraverso il quale la venuta finale del Signore si declina e anticipa nella sua venuta nella nostra vita concreta. È vero che il Signore verrà alla fine della storia e nella speranza lo attendiamo con fede. Ma la misura del tempo degli uomini non ha come riferimento il termine della storia. Onestamente non ci pensiamo, è al di fuori dei nostri pensieri. Per noi, quando ci fermiamo a pensare, l’ora incerta dell’incontro con il Signore nell’oggi della nostra esistenza è l’ora tanto incerta, imprevedibile quanto ineluttabile dell’incontro con Gesù attraverso nostra sorella morte corporale. Siamo chiamati a leggere con fede il nostro limite esistenziale, secondo le parole del salmo: «Insegnaci, Signore, a contare i nostri giorni» (Sal 90,12). Contare, cioè misurare secondo Dio la misura dei nostri giorni. La preghiera con cui inizia la Messa di oggi ci invita ad andare incontro con le buone opere al Signore che viene. Vivere facendo del bene è la misura del tempo di Dio, riconoscendo che la nostra vita ha senso, come ce lo ha rivelato il Figlio eterno di Dio facendo esperienza della nostra esistenza e della sua finitezza. Allora, potremmo modulare così le parole del salmo: «Insegnaci, Signore, a cantare i nostri giorni», come fecero gli angeli in quella notte santa.

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