LE COSE DI TUTTI I GIORNI

Ossimoro vivente

Spesso le cose con le quali abbiamo contatti quotidiani, anche se importanti diventano scontate, perdono il loro fascino, la loro capacità di stupirci. Questo accade di solito senza averne consapevolezza, non perché siano esse ad essere mutate ma siamo noi ad avere perso la capacità di coglierne la bellezza: è “normale” che ci siano, è qualcosa di dovuto ormai. La routine fa perdere l’entusiasmo e la meraviglia della vita, degli incontri, della tenerezza e bontà che scaturisce dalle cose piccole, dai dettagli; si perde il sapore buono per la vita stessa, non se ne coglie più il senso e l’armonia. Lentamente si crea un ripiegamento su se stessi che porta ad una chiusura di spirito, che fa rinserrare l’individuo in un egoismo travestito da felicità. A volte si manifesta in una sorta di rassegnazione malinconica, altre volte in rabbia verso le persone e gli eventi esterni, che spesso sfocia in aggressività. Ciò che si sperimenta, però, è proprio la non serenità d’animo, la non gioia, la non realizzazione della propria esistenza. Si perde la pace interiore.

Forse oggi più che in passato, soprattutto nelle civiltà consumistiche occidentali, c’è la pretesa da parte dei singoli individui, che le cose vadano sempre secondo le proprie aspettative. Non c’è da accogliere qualcosa che ci viene incontro, come fosse un dono, ma ciò che conta sono solamente le proprie aspettative e idee, anche se illogiche. Qualche anno fa una canzone in lingua inglese, molto trasmessa nelle radio di tutto il mondo, aveva questo ritornello: «I don’t care, I love it» (Icona Pop, I love it, TEN 2012), che tradotto suona circa così: “non m’importa, mi piace.” Questa frase rispecchiava, e in molti casi rispecchia ancora, il pensiero comunemente diffuso tra i giovani, e anche tra i meno giovani, che ciò che piace debba comunque passare avanti a ciò che fa bene, senza riflettere che non tutto ciò piace o fa comodo corrisponde al vero bene. Si può arrivare addirittura all’assurdo di intraprendere azioni autolesionistiche pur di avere un ‘like’ sui social network.

Il Concilio Vaticano II nel 1965 elaborò un documento che tratta de “La Chiesa nel mondo contemporaneo”, la costituzione pastorale Gaudium et spes, che pur avendo ormai oltre cinquant’anni è di una forte attualità dicendo le condizioni, le speranze e le angosce delle persone di oggi e di tutti i tempi, parlando dell’uomo e all’uomo:

In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d’altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe.» GS 10

Anche san Paolo ha sperimentato questa situazione, comune a ogni uomo di tutti i tempi: «in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.» Rm 7,19-20

«Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società.» GS 10

L’uomo, centro di grandissime aspirazioni, scopre l’incapacità di realizzarle da solo. Questo può diventare causa di forti frustrazioni personali che si ripercuotono nelle relazioni sociali. In questa situazione, l’essere umano capisce di essere un mistero a se stesso, che la sua vita è costellata di alti e bassi, di grandi capacità inventive e altrettanti limiti, di chiari scuri etici, di grandi slanci spirituali e di altrettante cadute a compromessi non sempre leciti e trasparenti. Scopre di essere sede di incoerenze tali da minare la fiducia in se stesso e negli altri. Percepisce nelle sue stesse membra di essere un ‘ossimoro vivente’, dove l’agire contraddice il parlare, il comportamento è opposto alla proclamazione dei valori, al di là dei desideri e della buona volontà.

«Con tutto ciò, di fronte all’evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?» GS 10

Le cose di tutti i giorni

Uno scrittore italiano del dopoguerra, narrando un episodio di mancanza di energia elettrica, così riflette sullo sviluppo tecnologico, che molti sono persuasi possa risolvere ogni problema e appagare i desideri del cuore umano:

«Che bello! Silenzio, niente televisione, poche macchine per le strade, casa tiepida. È quasi come l’anno che scrissi la Storia di Tönle, quando una grande nevicata fece cadere la linea telefonica e quella elettrica. E in casa ero ben fornito di tutto: libri, legna, farina, patate, crauti, carne, vino…

Ecco: questo “buiofuori” potrebbe far accendere la “lucedentro”. Si può vivere senza artifizi; per anni l’ho provato e con la mente si possono superare e trovare soluzioni che sembrano impossibili. Le più grandi invenzioni dell’uomo sono state il fuoco, la zattera e la ruota. Aggiungo anche la stampa. Non certo i telefonini e la televisione.

Chissà se un blackout sarà capace di far riflettere la gente così dipendente dal “progresso”?

Il caro vecchio Ungaretti mi disse un giorno a Venezia: “A tanto progresso materiale il progresso morale non tiene il passo e le distanze si allungano”.

Su questo dovrebbe farci riflettere l’incidente della trascorsa notte. È il senso del limite che ci fa prendere contatto con la realtà.» (Rigoni Stern M., Piccola cronaca del blackout, in Aspettando l’alba e altri racconti, Einaudi 2015, p.138-139)

A tutta questa situazione che vive l’umanità intera, la Chiesa riunita in Concilio cerca di dare una risposta, aprire una via che possa condurre a una soluzione il dramma umano di essere un “ossimoro vivente”. Risposta e via che non possono che essere una soltanto: Cristo.

«Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature, il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo.» GS 10

«Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo.» Cristo «rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è “l’immagine dell’invisibile Iddio” (Col 1,15), è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.» «Il cristiano poi, reso conforme all’immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli, riceve “le primizie dello Spirito” (Rm 8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell’amore.» GS 22

Senza Cristo è impossibile spiegare e trovare una via d’uscita alle contraddizioni che vive l’uomo nel suo intimo. Senza Cristo è impossibile amare il prossimo come Lui ci ama, dello stesso amore di Dio, passando da una logica di possesso a quella del dono; dal rispettare semplicemente delle regole per sentirsi a posto, giusti, onesti e bravi cittadini, al vivere secondo la Grazia, cioè della stessa libertà di Dio che viene dell’amore oblativo, diventando quel dono d’amore che può trasformare la vita sociale generando vita nuova (nelle relazioni personali come nelle istituzioni), divenendo quel lievito che può cambiare il mondo fermentandolo dal di dentro.

Troppo spesso, però, Dio è relegato a una routine: se ne parla, si va alla messa per tradizione, ci si fa un segno di croce per scaramanzia, o si recita qualche preghiera imparata al catechismo da bambini per tenerselo buono, non si sa mai! Abbiamo paura che Dio venga a scombussolarci la vita, a buttare all’aria il nostro quieto vivere che, in fin dei conti, ci va bene così. Ma la bellezza delle cose si comprende veramente solo quando queste vengono a mancare o si sperimenta qualcosa di estremo. L’amore di Dio, rivelatoci in Cristo e accolto con sincerità, ha il potere di mutare il sapore di ogni gesto quotidiano, anche il più piccolo e insignificante come può essere quello di prendersi un caffè, trasfigurandolo in pienezza di gioia e di senso.

«Chi non l’ha mai bevuto in una buca nella terra, a trenta gradi sotto zero e in mezzo a un deserto di montagne e tempesta, non sa cos’è un caffè.» (Gunnarson G., Il pastore d’Islanda, trad. it. D’Avino M.V., Iperborea 2020, p.85).

Di questa trasformazione di gioia operata dall’amore di Dio ne è un testimone sublime san Francesco d’Assisi, che nel suo Testamento affermerà che dopo la sua conversione tutto ciò che prima gli sembrava amaro da vivere gli fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. (vd. FF 110)

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