Ordinazioni della Vita eremitica

Dopo aver indagato la composizione delle Ordinazioni della Vita Eremitica, puntiamo a ciò che le anima, cioè lo spirito, l’aspirazione dei riformati a vivere in conformità alla Regola francescana. Non analizzeremo ogni numero delle norme ma sonderemo quanto emerge riguardo alla loro ispirazione.

Abbiamo proposto di individuare nel n.1 un prologo. In esso si trattano «le cose divine e spirituali» per «aiutare e mantenere e reggere l’armonia e l’ordine del Signore». All’inizio, e prima delle norme vere e proprie, emerge dunque l’importanza di riconoscere in Dio la relazione fondamentale dei «fratelli di questa confraternità», i quali «sono dedicati e chiamati ad assistere e stare innanzi al Signore». Questi fratelli sono altresì consapevoli del senso ultimo del loro vivere: il «nostro fine Dio benedetto». Se ciò appare il fondamento teologico dell’edificio spirituale, le Ordinazioni non mancano certo di concretezza nelle relazioni dei frati, senza perdere di vista il risvolto trascendente.

Per quanto la preghiera sia questione di spiritualità (relazione a Dio) si mantiene l’attenzione nella relazione agli altri quando, ad esempio, nel n.3, si ordina di non dare «molestia ad alcun frate che stesse in chiesa o in coro ad esercitarsi in orazione segreta o mentale». Anche in numeri successivi rapporto a Dio e rapporto agli altri sono equilibrati dalla carità, come riscontriamo al n.5 (stare in pace evitando lo scandalo): «non si vada a… processione… se si possono evitare senza scandalo… che ce ne stiamo nella nostra quiete». Anche la povertà è definita nel modo di relazionarsi, a sé e alle cose: «non si portino alla mensa più che due sorti di cibi… (n.13). Se qualcuno dei fratelli non vorrà mangiare carne… non si sforzino a mangiare (n.14). In ogni cosa a nostro uso risplenda la paucità, la povertà e austerità (n.16)». Pura pratica ascetica o altro? È in radice una questione di fede in Dio come evidenziato nel n.17 dove, a chi riceve nei «luoghi» cose come carne, uova, formaggio, si prescrive: «avvertano i superiori e gli altri fratelli [in modo] che non siano vinti dalla poca fede o dall’avarizia o da cupidigia…». Riguardo poi a condizioni avverse come il freddo, appare ancora la mediazione tra austerità e carità, facendo concessioni sugli indumenti solo ai «fratelli vecchi» e a quelli «deboli di spirito» (n.20). Rimane il modo di vivere interno ed esterno, a cui facciamo un semplice accenno preso dal n.55: «non si lascino facilmente entrare donne nei luoghi ed eremi dove noi abitiamo». Un’ulteriore prova di ascetismo? Non solo: si tratta di marcare la differenza rispetto all’Osservanza francescana dove era abitudine consolidata frequentare persone dentro e fuori il chiostro. Lo spirito della norma si coglieva fin dal n.10 in cui, nell’ambito della preghiera-silenzio, ai frati non incaricati dell’accoglienza si ordinava: «s’astengano dal parlare con persone che vengono al luogo nostro senza gran necessità».            

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