Perdono e resurrezione: due facce della stessa medaglia

La Preghiera Semplice, famoso testo attribuito erroneamente a san Francesco, si conclude con queste parole: «Perdonando si è perdonati, morendo si resuscita a nuova vita».

Perdonare, cioè mettere da parte le proprie recriminazioni, la ricerca di una giustizia personale – che può sfociare in vendetta o giustizialismo -, le nostre esacerbate ragioni, è un po’ come morire, soffocare quella che pensiamo essere la nostra parte più vera e intima. Per perdonare sembra che si debba prima morire, zittire quella voce che grida nel nostro intimo e chiede giustizia. Il perdono però, in questi termini, si realizzerebbe solo attraverso la più grande ingiustizia verso noi stessi.

Così ne parla Susanna Tamaro in un suo intervento del 1999 nella Basilica romana di S. Giovanni in Laterano, sul tema «Giustizia e perdono»:
«La comprensione infatti nasce soltanto in chi è già caduto, in chi ha provato l’esperienza della fragilità e della sconfitta, e l’ha accettata. Per risorgere, bisogna prima essere passati attraverso l’opacità della morte. Morte a sé stessi. Morte al proprio orgoglio. Morte alla caparbia volontà di costruirsi un destino estraneo alla legge dell’amore.» (Verso casa, Ares, p. 38)

Emozioni tanto violente, che si sperimentano in certe situazioni, non sono dovute al perdono ma al male ricevuto, al dolore che abbiamo conosciuto. Il perdono in realtà, come dicono le parole della Preghiera Semplice, si ottiene perdonando a nostra volta, cioè la pace interiore si trova soltanto vincendo il male ricevuto con un atto d’amore. Così il perdono, in quanto atto d’amore, costituisce il superamento della fase acuta del dolore, dell’amarezza: è il principio della rinascita spirituale, della resurrezione. Soltanto perdonando si riacquista la pace, si “resuscita a nuova vita”. Non lo si dà come atto dovuto, o perché l’altro lo meriti, né come gesto di buonismo (in tutti questi casi non porterebbe a una vera rinascita), ma è solo per-dono, cioè come azione totalmente gratuita che nasce da un estremo movimento d’amore che muove la persona a lasciare i pesi che la soffocano per ricominciare a respirare, a vivere, a volare alto, ad amare, cioè essere quello che realmente è: un essere d’amore.Soltanto l’amore cancella il male, perché l’amore è vita.

Il perdono così è innanzitutto un atto d’amore verso se stessi: i torti subiti, quanto i rimorsi o i sensi di colpa, possono davvero condurre la nostra esistenza a vivere un vero e proprio inferno. Troppo spesso ci costituiamo come i giudici più implacabili di noi stessi, condannandoci ad atroci patimenti spirituali per assecondare un malsano senso di espiazione, che non porterà mai la pace interiore che cerchiamo perché non nato e maturato in unasituazione di perdono, quindi d’amore.

«Ma per perdonarsi, bisogna conoscersi, riconoscere la pochezza dei propri sentimenti e la paura della propria libertà. Soltanto così, dalla consapevolezza dei propri limiti e della propria fragilità, può iniziare il processo di riconciliazione. Con sé stessi e dunque con gli altri. Solo da questo punto può iniziare la costruzione di una vera giustizia.» «Perché la giustizia, nel corso di una vita, nasce soltanto dalla comprensione di un percorso, dalla capacità di evolversi dallostato di servi obbedienti a quello di figli, e dunque fratelli.»(Tamaro S., Verso casa, Ares, p. 39)

Così, la riconciliazione porta in sé, allo stesso tempo, il Perdono e la Resurrezione: essi stanno insieme, danno concretezza l’uno all’altra, si completano. Non ci può essere uno senza l’altra: non posso sperimentare la rinascita se non attraverso il perdono; non posso dire di aver perdonato veramente se non dopo che abbia iniziato a vivere uno stato di resurrezione. Entrambe sorgono da un medesimo atto interiore, costituendo le due facce della stessa medaglia: l’amore.

Egregiamente lo descrive la celebre scrittrice triestina:
«L’uomo riconciliato è l’uomo che ha compiuto fino in fondo il suo cammino di realizzazione spirituale. L’uomo, paradossalmente, che avendo perduto tutto, non ha più niente da perdere. Ha abbandonato lungo la strada tutto ciò che fortificava il suo ego, che lo rendeva diverso dagli altri e quindi in contrasto.
È l’uomo che non conosce più orgoglio, né presunzione. E dunque è totalmente disponibile all’amore.» (Idem, p. 39-40)
L’amore è la strada maestra verso la riconciliazione: col Padre, con se stessi, con i fratelli. Esso costituisce anche il detonatore per innescare un circolo virtuoso: essere figli implica la meravigliosa scoperta di sentirsi amati e, quindi, perdonati e risorti; sentirsi figli amati ci rende capaci di donare, a nostra volta, il perdono e la resurrezione, di riamare dello stesso amore col quale siamo amati. «Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo.» (1Gv 4,19)

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