Bartolomé Esteban Murillo,San Francesco abbraccia Cristo crocifisso, 1668–1669, Siviglia

“Sed fugit interea, fugit irreparabile tempus(2)

Ci è già capitato di far presente che ciò che attiene direttamente alla lettura della ormai quasi proverbiale “elegiuncola” de Le Celle risale ad una quarantina d’anni fa. Dicono che l’originale sia ormai praticamente illeggibile e, credo, proprio perché, come dice il Poeta, “il tempo divora ogni cosa”. Lasciamo anche da parte ogni velleità di una sorta di nuovo controllo di persona, – che, semmai, non sarebbe dettato da sfiducia, ma vorrebbe essere fondato sulla precedente esperienza, quale sia stata, e su qualche ricordo che, alla vista, potrebbe eventualmente affiorare dal magazzino della memoria (sempre un po’ più affollato e un po’ meno in ordine), – per via del fatto che, come ha scritto un altro Poeta, anche per gli uomini “frattanto il tempo irreparabilmente” è fuggito.

            Nei primi anni ottanta del secolo scorso non provammo neppure a fare un tentativo di costruzione diretta e di traduzione più o meno letterale, né ci perdemmo ad appuntare note e rilievi di carattere lessicale, toponomastico, mitico e così via, bastandoci di essercene fatta un’idea in testa, quanto potesse bastare a tirar giù quattro versi endecasillabi concatenati in terzine, atti a dare una versione abbastanza fedele dei contenuti, senza troppo legarci alle forme latine. A quei versi demmo anche un titolo abbastanza alto: “Contemplazione francescana”, però non per una sciocca presunzione quanto alla bontà della nostra vena poetica, ma per una sincera venerazione nei confronti dell’Anonimo estensore, che davanti al serafico Poverello si è posto lui stesso in contemplazione ed in estatica contemplazione ha colto l’Ospite della rozza celletta (poi, nello sviluppo, nel “contemplata aliis tradere(3)”, ha pagato il tributo dovuto al suo tempo, che doveva essere un tardo barocco). Volutamente l’epiteto “francescana” si lascia leggere sia oggettivamente che soggettivamente.

CONTEMPLAZIONE FRANCESCANA

“A piedi nudi, sulla sabbia aspetta:                             1
quel che calpesti, osserva, è terra santa”,
parola del Signor a Mosè detta,

mentre sul sacro monte un fuoco incanta.                  4
Anche tu sosta ed un momento ascolta
il silenzio che questo luogo ammanta;

serafico l’amor, come una volta,                                 7
l’invito ti ripete: “A piedi nudi!”.
Da un soffitto di diaspro non è avvolta

la stanza; d’ampia cupola quei rudi                          10
muri, con arte rara, non son cinti.
Qui, penitente asceta, i giorni crudi

Girolamo non visse, i fianchi avvinti                        13
d’ispide e fiere pelli d’animali.
Angusta cella, grigi sassi tinti

di povertà, che aver non può rivali,                          16
ospitaron colui che scelse Cristo
e nel suo corpo i segni portò eguali.

Pregò, piangendo, il suo Signor, non visto               19
se non da questi muti testimoni.
Desiderio, a dolor nel cuore misto,

si trasformò talor in alti suoni:                                  22
“Rose e viole a me, mistico serto,
faccian corona; a te, Signor, ch’io doni

il cuore mio, d’amor ferito e aperto:                         25
fa’, pietoso e gentil, che mi consoli!”.
Fluente e dolce eloquio te far certo

né sa né può degli estatici voli                                  28
che innalzan l’uomo allo Sposo divino,
in amplessi agli esperti noti soli.

Misteriosa fragranza da vicino,                                 31
esalante graziosa dalle mura,
olezzò più che raro incenso fino.

Or t’indroduci; con la mente pura                             37
medita attentamente, o viatore:
è questa cella narrazion sicura,

fedele immagin del suo abitatore.                             40

Le Celle, presso Cortona,
dalla nascita del serafico Padre nostro S. Francesco anno DCCC.
Fr. Guglielmo Maria Papucci, da Firenze, O.F.M.Cap.

Note
(1) Publii Ovidii Nasonis, Metamorphoseon Libri XV, XV, 234: “Tempus edax rerum, tuque invidiosa vetustas, | omnia destruitis”.
(2) Publii Vergilii Maronis, Georgicon Libri IV, III, 284.
(3) S. Thomæ Aquinatis, Summa theologica, II II, q. 188, a. 6.

            Ecco ora di seguito il nostro lavoretto, che datiamo e firmiamo per esteso, prendendoci la nostra responsabilità e volendo evitare (fosse mai!) che un ignaro e improbabile lettore, imbattendosi in queste righe, avesse a perder tempo per togliersi la curiosità di individuare da chi e dove siano state buttate giù.

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