QYNWT ΘΡΗΝΟΙ LAMENTAZIONI

LUCA SIGNORELLI, La Resurrezione della carne, 1499-1502, Duomo di Orvieto

Ez 37 11Mi disse: «Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele.
Ecco, essi vanno dicendo: “Le nostre ossa sono inaridite,
la nostra speranza(*) è svanita, noi siamo perduti”. 2Perciò profetizza e annuncia loro:
“Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri,
vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele».

Nabucodonosor e Babilonia. Nel Vecchio Testamento il nome del re distruttore di Gerusalemme compare 106 volte; mai nel Nuovo. Babilonia viene menzionata addirittura 277 volte ed essenzialmente nel Vecchio Testamento: nel Nuovo Testamento, in senso proprio, solo quattro volte nella genealogia di Matteo(1) e una volta negli Atti(2).

Nella Prima Lettera di Pietro(3) e nell’Apocalisse, – dove è detta assai spesso la ‘grande’ o ‘immensa’ città(4) -, Babilonia ha ormai assunto un valore simbolico per indicare il luogo della corruzione dilagante e del peccato sfrenato e fa riferimento alla Roma del primo secolo: cose già in parte anticipate.

È assai interessante notare che il nome del re babilonese come quello del luogo della deportazione e dell’esilio non compaiono mai nel Libro delle Lamentazioni, che pure della miseranda situazione venutasi a creare è una amara esposizione, desolata, compunta e tuttavia aperta alla speranza di un futuro di riscatto, forse lontano, ma sicuro.

L’insistenza nell’elencare le sofferenze fisiche e morali; nel descrivere la fame che porta le madri a mangiare i propri figli:
“Le donne divorano i loro frutti, | i bimbi che si portano in braccio!” (Lam 2,20),
fino a far preferire e desiderare la morte di spada alla sempre troppo lenta agonia di un languore dall’esito ugualmente mortale; la personificazione di Gerusalemme, che può versare lacrime vere, può gemere e gridare:
12“Voi tutti che passate per la via, | considerate e osservate
se c’è un dolore simile al mio dolore, | al dolore che ora mi tormenta,
e con cui il Signore mi ha afflitta | nel giorno della sua ira ardente.” (Lam 1,12);
il dolore di tutti che è, per ciò stesso, il veleno amaro che ciascuno sente nella sua bocca; le cose usuali, come quelle più care e più preziose, sottratte le une, depredate o distrutte le altre; macerie, abbandono, squallore…. Tutto questo piuttosto sospirato, cantilenato, mugolato, che non narrato: come una nenia ossessiva, che a volte esplode in grida laceranti e mai completamente liberatorie. Questo in seguito alla devastazione compiuta a riprese successive da parte di Nabucodonosor, fino alla deportazione che lascia indietro solo pochi “poveri della terra(5)”, e sposta una popolazione intera dal proprio paese a Babilonia: senza mai nominare, dicevamo, né l’autore né il luogo dell’esilio.

Si raggiungono così due straordinarie altezze: il dolore storico si fa poesia e diventa espressione del dolore universale e senza tempo, prodotto dalla crudeltà e dalla violenza umana; insieme la mesta e confessata consapevolezza che c’è una colpa causale, una responsabilità grave e prolungata per una condotta che ha tradito un patto eterno da parte di chi esercita il potere e si è riversata sul popolo come ingiustizia e sopraffazione, che ha indotto, a sua volta, altra infedeltà e iniquità,… non senza però una timida umile speranza di perdono:
Zain 21Questo intendo richiamare al mio cuore, | e per questo voglio riprendere speranza(6).
Het 22Le grazie del Signore non sono finite, | non sono esaurite le sue misericordie.
Het 23Si rinnovano ogni mattina, | grande è la sua fedeltà….
Iod … forse c’è ancora speranza(7). (Lam 3,21-23.29)
21Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo,
rinnova i nostri giorni come in antico. (Lam 5,21)

Il Libro delle Lamentazioni è composto da cinque poesie; in ebraico la raccolta va sotto il nome di ’êkhā́h, parola iniziale del I, II e IV carme, e che significa ‘come!’, nel senso di desolata meraviglia e sconsolata costatazione; nella traduzione dei LXX il medesimo libro porta il titolo θρῆνοι (thrênoi, lamenti, corrispondente all’ebraico qynwt, vocalizzato qînôth, in 2Cr 35,25) ed è preceduto dal seguente versetto:
Καὶ ἐγένετο μετὰ τὸ αἰχμαλωτισθῆναι τὸν Ισραηλ καὶ Ιερουσαλημ ἐρημωθῆναι
ἐκάθισεν Ιερεμιας κλαίων καὶ ἐθρήνησ τὸν θρῆνον τοῦτον ἐπὶ Ιερουσαλημ
καὶ εἶπεν          1Πῶς….

Analoga introduzione si trova anche nella Vulgata Clementina, con qualche aggiunta, evidenziata in corsivo:
Et factum est, postquam in captivitatem redactus est Israël, et Jerusalem deserta est,
sedit Jeremias propheta flens et planxit lamentatione hac in Jerusalem
et amaro animo suspirans et hejulans dixit:          Aleph     1Quomodo….
(Dopo che Israele fu condotto in schiavitù e Gerusalemme fu resa deserta
il profeta Geremia sedette piangendo; proferì questo lamento su Gerusalemme
e sospirando e gridando con l’animo amareggiato disse:          Alef     1Come….)

L’attribuzione della composizione del Libro al profeta Geremia andò avanti indiscussa fino al 1712, quando Hermann Von Der Hardt la negò, seguito poi da diversi altri studiosi. Ad oggi sembra doversi concludere che si tratti di un’opera di più persone, forse discepoli del profeta e continuatori del suo pensiero, senza tuttavia escludere la paternità del profeta stesso per le tre lamentazioni centrali. La Neo Vulgata e le due versioni della CEI non riportano più il tradizionale versetto introduttivo e attributivo.  (continua)

Note
(*) tiqwāthḗnû; ἡ ἐλπὶς ἡμῶν (‘ē ’elpìs ‘ēmôn)
(1) Mt 1,11.12.17(bis)
(2) At 7,43
(3) 1Pt 5,13(1Pt 5,13)
(4) Ap 14,8;16,19;17,5;18,2.10.21
(5) 2Re 25,12
(6) ’ôḥîl, aspetterò pazientemente
(7) tiqwā́h, attesa di evento fausto; speranza (unica accezione nell’ebraico moderno)

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