Amore obbediente e obbedienza amorosa

San Francesco ricorreva spesso al dialogo con il Signore, e in tale intimità cresceva e sia alimentava l’amore e la fiducia. Questo però non lo metteva al riparo da momenti di scoraggiamento e tristezza, specialmente per le questioni che riguardavano la fraternità. Nella Vita seconda di Tommaso da Celano, n.158, si narra proprio di una di queste situazioni (il testo è riportato anche in Compilazione d’Assisi 112 e Specchio di perfezione 81 con dettagli diversi):
«Il santo trovava grandissima consolazione nelle visite del Signore e da esse veniva assicurato che le fondamenta del suo Ordine sarebbero rimaste sempre stabili. Riceveva anche la promessa che sicuramente nuovi eletti avrebbero preso il posto di chi si perdeva.» Fonti Francescane n.742

Già in questa prima parte del brano, sono evidenti le difficoltà che Francesco incontrava all’interno dell’Ordine. Si desume che c’erano abbandoni della vita religiosa che turbavano la serenità del santo d’Assisi. Il Signore, dal canto suo, lo rincuorava (“le fondamenta del suo Ordine sarebbero rimaste sempre stabili”) e rassicurava sul futuro (“nuovi eletti avrebbero preso il posto di chi si perdeva”).

Continua Tommaso da Celano: «Essendo turbato per i cattivi esempi e avendo fatto ricorso un giorno, così amareggiato, alla preghiera, si sentì apostrofato in questo modo dal Signore: “Perché tu, omiciattolo, ti turbi? Forse io ti ho stabilito pastore del mio Ordine in modo tale che tu dimenticassi che io ne rimango il patrono principale? Per questo io ho scelto te, uomo semplice, perché quelli che vorranno seguano le opere che compirò in te e che devono essere imitate da tutti gli altri”.»

Nonostante le consolazioni e il conforto del Signore, Francesco pare non riesca a placare la sua amarezza per la situazione che stava vivendo. Allora Gesù cambia tono spronandolo con parole che, alle nostre orecchie, suonano umilianti per Francesco (“omiciattolo”; “uomo semplice”). In verità il santo è solo richiamato alla realtà: è stato stabilito come guida (“pastore”) dell’Ordine per dare l’esempio di vita nell’umiltà e nella semplicità.

«“Io vi ho chiamati: vi conserverò e pascolerò, supplirò con nuovi religiosi il vuoto lasciato dagli altri, al punto di farli nascere se non fossero già nati. Non turbarti dunque, ma attendi alla tua salvezza perché se l’Ordine si riducesse anche a soli tre frati, rimarrà il mio aiuto sempre stabile”.»

È Gesù che si fa carico dell’Ordine, la responsabilità della buona riuscita è nelle sue mani, Francesco deve solo attendere alla sua santità, così potranno realizzarsi “le opere che compirò in te e che devono essere imitate da tutti gli altri”.

Il Signore chiede a Francesco, e per mezzo suo a ognuno, di fidarsi di Lui e affidarsi a Lui. Il santo d’Assisi, che pure nella Lettera a un ministro (FF 234-239) raccomanda l’amore per i fratelli, anche per quelli che più ci fanno soffrire («E ama coloro che ti fanno queste cose. E non aspettarti da loro altro, se non ciò che il Signore ti darà. E in questo amali e non pretendere che siano cristiani migliori.» FF 234), deve compiere questo cammino di abbandono alla volontà di Dio fino in fondo, un cammino di crescita nella santità (“attendi alla tua salvezza”). Gli è chiesto di vivere un ‘amore obbediente’ che apra il suo cuore a una piena fiducia in Dio.

Obbedire, dal latino ob-audire, ha a che fare con l’ascolto: attento, stando di fronte a chi parla, responsabile, maturo. L’‘amore obbediente’, quindi, è ascoltare con attenzione e, siccome si tratta di amore, allora è un ascoltare col cuore. Anche il fidarsi implica l’amore, perché diamo fiducia solo a chi vogliamo bene: la fiducia s’instaura all’interno di un’intesa, coinvolge l’affettività, s’innesca in un mutuo rapporto di stima e benevolenza, di amicizia, quindi di amore nel suo significato alto.

La fiducia segna la misura della bontà di un rapporto, anche nei confronti di Dio.
Devo chiedermi perché non riesco a fidarmi e abbandonarmi a Lui? Forse perché devo crescere nell’amore!

Anche l’apostolo Pietro ha dovuto compiere tale percorso. Dopo aver proclamato entusiasticamente che avrebbe seguito Gesù fino alla fine («Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!» Gv 13,37) per poi rinnegarlo tre volte (vd. Gv 18,15ss), nell’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni è ristabilito nella fede dal Signore: posto nella condizione di poter affermare per tre volte il suo amore verso di Lui (Gv 21,15ss), per tre volte riceve il mandato di “pascere” le sue pecorelle. Fin qui siamo nella situazione dell’‘amore obbediente’.

Poi Gesù aggiunse: «Seguimi». Anche per Pietro, il seguire le orme del Signore, l’essere posto come capo e pastore della Chiesa, come per Francesco per l’Ordine Francescano, non lo colloca in una posizione di dominio sugli altri, ma al loro servizio. Infatti, nei versetti che seguono Pietro interroga il Signore circa l’altro discepolo che si era messo sui loro passi: «Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: “Signore, e lui?”. Gesù gli rispose: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi”.» Gv 21,21-22

Anche a Pietro, seppur con altre parole, viene detto “attendi alla tua salvezza”, il resto lo porterà a compimento il Signore. Solo nell’obbedienza mite fatta per amore, una ‘obbedienza amorosa’, come risposta all’amore di Gesù, può trovare spazio nel nostro cuore il fratello e compiersi il progetto salvifico di Dio, per noi e per molti.

L’‘obbedienza amorosa’ è un ascoltare con amore, per amore e nell’amore; è un sentire l’altro col cuore, ascoltare i suoi palpiti, gemiti, slanci, speranze; è parlare il linguaggio del cuore. Non è contemplata l’indifferenza perché si tratta di dare al fratello un ruolo importante nella propria vita: «ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri.» Fil 2,3-4

Così «chi ama Dio, ami anche il suo fratello» 1Gv 4,21: siamo capaci di un ‘amore obbediente’ nei confronti del Creatore quando lo riconosciamo come Padre e, di conseguenza, noi tutti come figli nel suo Figlio; allora possiamo aprirci a un atteggiamento di ‘obbedienza amorosa’ nel servizio ai fratelli.
«Da quel giorno» termina il brano del Celano, «era solito affermare che la virtù di un solo frate santo supera una quantità, sia pur grande, di imperfetti, come un raggio di luce dissipa le tenebre più fitte.» FF 742

La risposta d’amore (“la virtù”), anche di uno solo, fa sì che il bene trionfi sul male, ripagando ogni sforzo fatto e offerto a Gesù, vero oggetto del nostro amore.
In conclusione, la salvezza, nostra e delle cose cui teniamo, passa attraverso un ‘amore obbediente’ verso Dio e una ‘obbedienza amorosa’ verso i fratelli, per amore dell’Amato.

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