L’amore scaccia il timore

Tommaso da Celano, uno dei primi biografi di san Francesco, nella Vita Prima, riporta un episodio vissuto all’inizio del cambiamento di vita dal santo d’Assisi: il futuro uomo di Dio si nascose «in un rifugio sotterraneo che si era preparato» (FF 336) a San Damiano, per sfuggire al padre che lo cercava. Dicono le Fonti Francescane:

«In quella fossa, che era sotto la casa ed era nota forse a uno solo, rimase nascosto per un mese intero non osando uscire che per stretta necessità. Mangiava nel buio del suo ricovero il cibo che di tanto in tanto gli veniva offerto, e ogni aiuto gli era dato nascostamente.» FF 336

Il futuro santo ancora non aveva la forza interiore per affrontare le avversità che la sua risposta alla chiamata di Dio comportavano. Preferì nascondersi piuttosto che affrontare il padre, uomo alquanto iracondo per quello che si può dedurre dagli scritti delle Fonti. Benché dominato dalla paura, nel suo nascondiglio Francesco «con calde lacrime implorava Dio che lo liberasse dalle mani di chi perseguitava la sua anima e gli concedesse la grazia di compiere i suoi voti.» Il giovane desideroso di proseguire il cammino appena iniziato, voleva rompere ogni legame con ciò che glielo impediva, «ormai le vanità del passato o del presente non avevano per lui più alcuna attrattiva, ma non si sentiva sicuro di saper resistere a quelle future.» (FF 329)

Francesco non è ancora sicuro di se stesso, sente tutta la sua debolezza così, “con calde lacrime”, si appella a Dio. Questa situazione, ci dicono le Fonti, dura ben un mese, durante il quale il Signore non gli fa mancare la sua consolazione, infondendogli il coraggio che gli mancava:

«Benché chiuso in quel rifugio tenebroso, si sentiva inondato da indicibile letizia, mai provata fino allora. Animato da questa fiamma interiore, decise di uscire dal suo nascondiglio ed esporsi alle ingiurie dei persecutori.

Si alzò pertanto prontamente e di scatto, ansioso e alacre, imbracciò lo scudo della fede per le battaglie del Signore; munito di un grande coraggio, s’incamminò verso la città e, ardente di amore divino, incominciò ad accusarsi di essersi attardato troppo per viltà.» FF 336-337

È l’amore di Dio (“animato da questa fiamma interiore”; “ardente di amore divino”) che scaccia da lui ogni dubbio e gli fa vincere le sue paure e reticenze, perché «nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore» 1Gv 4,18, e quello di Dio per l’uomo è “perfetto”. È un amore sempre presente ma che chiede di essere accolto per operare.

Così Francesco, imbracciato lo “scudo della fede” e “munito di un grande coraggio”, fidandosi dell’amore di Dio, come un cavaliere valoroso va in contro a coloro che lo perseguitavano.

«Tutti quelli che lo conoscevano, vedendolo riapparire e mettendo a confronto il suo stato attuale con il passato, cominciarono a insultarlo, a chiamarlo mentecatto, a lanciargli contro pietre e fango.» FF 338

La reazione dei suoi concittadini è spontanea e sicuramente in buona fede, anche se esagerata e priva di comprensione e misericordia, non sapendo le motivazioni che avevano spinto Francesco a compiere quel gesto. «Il servo di Dio» continua il testo, «rimaneva sordo a questi insulti e, senza lasciarsi disanimare né turbare da alcuna ingiuria, ringraziava Dio per quelle prove.» Il Celano è come se volesse paragonare, riportandone l’immagine alla mente del lettore per esaltarne l’eroicità, questo evento subìto da Francesco con i martiri sostenuti dagli Apostoli, in particolare quello di santo Stefano che fu lapidato dalla folla (vd. Atti 7,55ss), sulla scia della passione di Cristo.

Ma la prova più grande sarebbe arrivata a breve:

«Quel vociare rumoroso si andava diffondendo per le vie e le piazze della città e il clamore degli schernitori rimbalzava di qua e di là toccando le orecchie di molti, finché giunsero anche a quelle di suo padre. Questi, udito gridare il nome del figlio e saputo che proprio contro di lui era diretto il dileggio dei cittadini, subito andò da lui, non per liberarlo, ma piuttosto per rovinarlo. Come il lupo assale la pecora, fissandolo con lo sguardo truce e minaccioso, lo afferrò e brutalmente, senza più alcun ritegno, lo trascinò a casa. E, inaccessibile a ogni senso di pietà, lo tenne prigioniero per più giorni in un ambiente oscuro, credendo di piegarlo alla sua volontà, prima con parole, poi con percosse e catene.» FF 339

In questa breve descrizione traspare la personalità alquanto violenta del padre. Francesco fino a quel momento ne aveva avuto paura, tanto da stare un mese intero nascosto in un luogo buio e inospitale. L’accoglienza dell’amore di Dio (“lo scudo della fede”) gli fa vincere ogni dubbio e timore, in se stesso e proveniente dall’esterno. Chi ha scoperto tale amore e vi si è abbandonato totalmente, come un bambino tra le braccia di una madre amorosa, capisce che la sua vita senza Dio non ha scopo, che l’unico vero motivo dell’esistenza non sono le ricchezze o il prestigio, ma l’abbandonarsi sempre più a quell’amore «poiché quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più.» (Ammonizioni; FF 169)

Francesco troverà allora il coraggio di restituire tutto al padre, anche i vestiti spogliandosi davanti al Vescovo di Assisi e alla folla accorsa (vd. FF 344), vincendo il timore con l’amore, scegliendo di fidarsi dell’amore di Dio.

Il timore blocca l’uomo all’esteriorità, chiudendogli la porta della felicità profonda, soprattutto quando si tratta delle grandi scelte esistenziali, come quella di una chiamata vocazionale. L’amore al contrario fa sì che ogni circostanza si trasformi «in dolcezza di animo e di corpo.» (Testamento; FF 110)

Una risposta

  1. Allora… Più una persona ha una relazione profonda con Dio.. E più Dio lo riveste della sua armatura.. Ma per poter aver questa forza spirituale occorre una robusta vita di preghiera… O sbaglio…

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