NABUCODONOSOR II (Disco in onice)

“Figlia di Babilonia devastatrice,
beato chi ti renderà quanto ci hai fatto”. (Sal 137,8)

            Nabucco, ossia Nabucodònosor II, nel settembre del 605 a. C., all’età di circa trent’anni, salì al trono di Babilonia, succedendo al padre, Nabopolassar; fu incoronato nell’aprile del 604 e regnò fino alla morte, avvenuta nel 562.
            Prima ancora di offrire alcune altre notizie storiche, potrebbe essere non irrilevante osservare che il nome Babilonia finirà con l’assurgere a simbolo di sofferenza e schiavitù, di oppressione, dissolutezza e violenza, come accade, per esempio, in diversi passi del Nuovo Testamento: in modo speciale, ma non esclusivamente, nel libro dell’Apocalisse, dove verrà chiamata Babilonia proprio la Roma imperiale del I secolo e del tempo di Nerone in particolare.
            Ogni situazione di esilio, in senso stretto o metaforico, verrà indicata come una dolorosa e mesta degenza in Babilonia; lo stesso soggiorno in questa “valle di lacrime” sarà pensato come un pesante esilio babilonese, lungo quanto dura la vita.
            Dante, per parte sua, nomina Babilonia una sola volta: nel Cielo Stellato, e proprio per meglio contrapporre il pianto dell’esilio terreno al pieno godimento della vita eterna. Canta il Poeta(1):
                        Quivi si vive e gode del tesoro                                  133
                           che s’acquistò piangendo ne lo essilio
                           di Babillòn, ove si lasciò l’oro.

            Nella Bibbia ha particolare rilievo la distruzione del primo Tempio, quello di Salomone, avvenuta nel giugno-luglio 587 o 586, ad opera del generale babilonese Nabuzaradàn, dopo un mese dalla cattura di Sedecìa e dalla presa di Gerusalemme, preceduta da eventi assai, se non altrettanto, tragici. Parecchio di quanto costituisce la Storia Sacra è in prospettiva o in riferimento a questo momento, che costituisce per lungo tempo il più duro colpo patito dagli Ebrei, tale da poter mettere in crisi la fede nelle promesse fatte ad Abramo e alla sua discendenza. Da qui partiamo per poi soffermarci su alcune conseguenze e ritornare alle premesse.

            Già nel 601 a.C. Nabucodònosor aveva fatto del regno di Giuda, retto dal re Ioiakìm, un suo Stato vassallo. Nell’ottobre del 597 a.C. domò la ribellione dello stesso Ioiakìm, che, dopo undici anni di regno, morì probabilmente proprio all’inizio dell’assedio dei babilonesi. Gli successe il figlio Ioiachin. Nabucodònosor conquistò Gerusalemme nel gennaio-febbraio del 597 e nel marzo di quello stesso anno fu artefice della prima deportazione del popolo ebraico. Fra i deportati in quell’occasione vi furono, oltre allo stesso neo-re Ioiachìn e i notabili della città, anche il profeta Daniele, allora giovanissimo.

            Ne La Commedia si trova un unico accenno ad un incontro di Daniele con il re babilonese: nel Canto IV, nel cielo della Luna, il primo dei cieli del Paradiso dantesco. Ivi Beatrice libererà preliminarmente il fatale pellegrino da due dubbi: uno, riguardo alla volontà assoluta e relativa circa l’inosservanza dei voti per violenza subíta (la volontà assoluta subisce incolpevolmente la violenza, a cui non acconsente; quella relativa vi si assoggetta ad evitare conseguenze peggiori); l’altro, dove abbiano sede i Beati, (che è l’Empireo e non il cielo in cui si manifestano al Poeta). Quei dubbi si vedono dipinti sul volto di lui, e si intuiscono direttamente, senza che ci sia bisogno di formulare a parole una esplicita richiesta.

            Proprio questa capacità cognitiva della Guida celeste viene paragonata all’intuizione avuta dal profeta Daniele, che permise a quest’ultimo di conoscere e interpretare il celebre sogno di Nabucodonosor, di cui parla la Bibbia(2). Il re, infatti, era rimasto molto turbato in seguito a quel sogno e ne pretendeva la spiegazione senza però volerlo raccontare, – un po’ per una sua certa difficoltà a ricordarlo e un po’ per non essere facilmente ingannato da complotti e congiure -, e intanto minacciava morte e distruzione. Daniele ne conobbe il contenuto per divina rivelazione, cioè che si trattava della visione di una statua composita e della sua rovinosa caduta. Con il suo intervento interpretativo riuscì a placare la furia del re e a salvare la propria vita e quella dei tanti maghi, indovini e incantatori di turno. Ed ecco la terzina(3):
                        Fé sì Beatrice qual fé Danïello,                                 13
                           Nabuccodonosor levando d’ira,
                           che l’avea fatto ingiustamente fello;

            Tornando alla storia, dopo aver messo sul trono di Gerusalemme lo zio di Ioiachìn, Mattania, cambiandogli il nome in Sedecìa, Nabucodònosor II tornò a Babilonia: Gerusalemme e il suo tempio, quella volta, furono risparmiati.

            In seguito però ad una ennesima rivolta del Regno di Giuda, che aveva stretto un patto d’alleanza con gli Egizi durante il nono anno del governo di Sedecia, i Babilonesi assediarono nuovamente Gerusalemme: l’accerchiamento si protrasse fino all’undicesimo anno di Sedecìa. Un tentativo d’intervento dell’alleato egizio a favore di Giuda fu vanificato. I Babilonesi tolsero solo momentaneamente l’assedio, respinsero in Egitto l’esercito che veniva in soccorso, e ripresero l’assedio, che si concluse nel 587 a.C. con l’apertura di una breccia nelle mura e la conseguente distruzione del Tempio e delle mura della città, nel 18º anno di regno di Nabucodònosor.

            I precedenti cenni riassuntivi relativi a diversi decenni di storia, con particolare attenzione alle vicende del regno di Giuda, trovano un assai più ampio e dettagliato spazio nel Secondo libro delle Cronache e nelle pagine conclusive del Secondo libro dei Re; le riportiamo a più riprese, insieme ad un passo di Geremia, intervallate da qualche riga di commento.
            Bisogna subito notare che nei due citati Libri la narrazione degli eventi, che portarono alla catastrofe del regno di Giuda, inizia con la figura di Ioiakìm, presentata in una luce decisamente sinistra; leggiamo, rispettivamente: “Le altre gesta di Ioiakìm, gli abomini da lui commessi e ciò che risulta a suo carico, sono descritti nel libro dei re d’Israele e di Giuda.”; “Fece ciò che è male agli occhi del Signore, come avevano fatto i suoi padri”. Anche quando non detto esplicitamente, la valutazione dell’accaduto, – deportazioni, vendette, distruzione -, è quella di una divina punizione per un peccato commesso da chi è alla guida, non episodicamente, ma in continuità con la malizia dei predecessori, il tutto riverberantesi in una deviazione collettiva del popolo, mal guidato e talvolta incattivito.
            Ioiakìn, succeduto al padre, seguitò alla stessa maniera. In particolare, anche questa volta, leggiamo rispettivamente, nel primo caso: “Quando divenne re, Ioiachìn aveva diciotto anni; regnò tre mesi e dieci giorni a Gerusalemme. Fece ciò che è male agli occhi del Signore ”; nel secondo: “Quando divenne re, Ioiachìn aveva diciotto anni; regnò tre mesi a Gerusalemme. Sua madre era di Gerusalemme e si chiamava Necustà, figlia di Elnatàn. Fece ciò che è male agli occhi del Signore, come aveva fatto suo padre”.
            Nel Secondo dei Re si afferma esplicitamente che l’intervento punitivo e senza indulgenza è direttamente voluto dal Signore, a causa di tutta una serie di colpe, a cominciare anche da lontano, ma più specificamente da quelle gravi e molteplici commesse dal re Manasse. Dopo una decennale coreggenza, questo re fu sul trono per quarantaquattro anni, fino al 643 a. C.; annullò le riforme improntate al centralismo del padre Ezechia, ricostruendo le alture sacre pagane che questi aveva abbattuto, e soprattutto promosse un forte sincretismo con le altre religioni. Eresse altari a Baal e ne costruì per la religione babilonese in due cortili dello stesso tempio di Gerusalemme. Sacrificò alcuni dei suoi figli facendoli “passare attraverso il fuoco”, praticò la magia, ricorse alla divinazione e promosse lo spiritismo. In risposta alla reazione di condanna da parte del popolo, perseguì gli oppositori spargendo “sangue innocente”, anche tra i profeti.
            Quando, nel 609 a. C., il faraone Necao mise sul trono un giovane, che fu il diciottesimo re di Giuda, cioè Eliaqim rinominato Iehoiaqim (precedentemente e in seguito scritto Ioiakìm, secondo l’uso corrente), la nefasta memoria di Manasse era certamente assai viva e deprecata.
(continua)

Note
(1) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Paradiso XXIII, 133-135
(2) Libro del profeta Daniele, 2
(3) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Paradiso IV, 13-15

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