Dai “Palucci alla licenza e oltre”

Suscipiat Dominus sacrificium….(1)

            Noi, abituati a portare i sandali, ci siamo ritrovati ad avere da levarci, a quasi ottant’anni, non un sassolino dalle scarpe, ma un pietrone dallo stomaco: non proprio con un fugace accenno, ne abbiam prima parlato.

            Il 27 ottobre 1947, lunedì, a sei anni tondi tondi, un ragazzino, malaticcio più del necessario, inaugurava il suo primo giorno di scuola elementare. Se campava, nato in città e da operai dell’industria chimico-farmaceutica, non avrebbe certamente fatto il contadino, ma non avrebbe neanche mai messo addosso la tuta del metalmeccanico o in testa la bustina di giornale del muratore. Avrebbe potuto forse diventare geometra o ragioniere, e per due salariati a quindicina sarebbe stato un bello sforzo mantenerlo: però, come si dice, per i figlioli ci si leva il pan di bocca.

            Il Proposto del Pignone, Mons. Giuseppe Brunetti, Vicario foraneo, (oltre all’uso abbondante del suono delle campane), aveva concretamente aiutato la popolazione locale al passaggio del fronte (con tanto di relativi bombardamenti, macerie e disoccupazione), cercando anche di dare sempre, quant’era possibile in quei tempi, ampio decoro e quasi splendore alle celebrazioni liturgiche, tutte rigorosamente in latino: solo alcune poche preghiere della pietà popolare erano in volgare.

            Il latino chiesastico stregò quel ragazzino, che ne faceva un motivo per riempire il vuoto, ampio, lasciato dall’impossibilità di scorrazzare, giocando a nascondino; di dare due pedate a qualcosa di simile a un pallone (un po’ di cenci raggomitolati e legati con lo spago); di fare la sassaiola: questa non era certamente un innocente passatempo e non andava bene, ma, come sa ogni spirito più illuminato, le rivalità rionali ogni tanto l’esigevano inevitabilmente, aiutando anche a formare le coscienze e a fornire il necessario bagaglio di cultura e di esperienza in vista di più impegnativi e motivati conflitti futuri. Il nostro, abbastanza pacifista per natura e indotto a condannarla dalle prediche dei grandi, più che personalmente convinto della effettiva pericolosità, (dato che le distanze e i tiri maldestri – fortunatamente! – non avevano mai rotto il capo a nessuno), la sassaiola non l’avrebbe mai fatta di sicuro, ma il sapere di non poterla fare lo sentiva come un altro limite.

            Latino. Lo studio del latino voleva dire andare alle medie e tutto il resto che ne conseguiva; i genitori si strinsero nelle spalle e tirarono parecchio e per parecchio la cinghia; così, nell’estate del 1952, quel ragazzino affrontò l’esame di ammissione alla “Machiavelli”, in piazza de’ Pitti (capito perché nella precedente puntata figurava uno scorcio di palazzo Pitti?).

            Lasciando il resto, – dato che l’abbiamo già fatta anche troppo lunga -, all’orale gli toccò, tra l’altro, di parlare di Verdi e lui si fece bello, perché il maestro Luigi Stefanini, al doposcuola preparatorio, ne aveva ampiamente parlato, presentandolo come un uomo di umili origini, sfortunato in tante vicende personali e familiari, e poi raccontando il successo del grande compositore: dal trionfo del Nabucco, il 9 marzo 1842, con lo struggimento indicibile di quel “Va’, pensiero, sull’ali dorate,…”, quella preghiera per una virtù che non c’è, che si spera, che forse arriverà, mentre la voce si va affievolendo e si spenge, come quando subentra il sopore ad un sogno appena fatto ad occhi aperti…. Fino, cinquantun anni dopo, a quel “sul fil d’un soffio etesio(2)”, di un così sognante e fiabesco incanto a temperare la ridanciana e insieme tragica sentenza finale: “Tutto nel mondo è burla”.

            Di Nabucco parleremo un po’ più in là, dopo un approccio, quale che sia al Nabucodonosor della Bibbia. Queste inessenziali e non brevi pagine di valutazioni, ricordi, affetti e un po’ anche di rimpianti per certi valori andati trascurati o, comunque, diventati opachi, forse potrà dare un’idea di come cose grandi, come i capolavori dell’arte e la cultura in genere, presentate presto e bene, fin da bambini, con quel tono che sa trasformare in fiaba la realtà e trasformare il sogno in emulazione, possono informare di sé tutta la vita, facendo di alcuni dei veri maestri, di altri degli attenti discepoli, capaci, al bisogno, di far umilmente da competenti maestri a loro volta.

NOTE
(1) Missale Romanum: “Suscípiat Dóminus sacrifícium de mánibus tuis ad laudem et glóriam nóminis sui, ad utilitátem quoque nostram totiúsque Ecclésiæ suæ sanctæ”.
(Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.)
            Era questo uno dei primi incontri e, probabilmente, il più impegnativo, con il latino liturgico per un ragazzino che volesse servire Messa; suscitava anche una certa misteriosa suggestione quella inabituale successione di suoni, tipo “quoque” e “totiúsque”. Se si riusciva a recitare spigliati e convinti questa frase al Parroco, era brillantemente superato un importante esame, che permetteva di fare il chierichetto (intendasi ‘ministrante’) a tutti gli effetti e in piena regola.
            Certamente nella Messa di S. Pio V non mancavano altre espressioni che potevan addirittura parere uno scioglilingua, vedasi: “Emítte lucem tuam et veritátem tuam: ipsa me deduxérunt, et adduxérunt in montem sanctum tuum et in tabernacula tua.”; ma questo (che in italiano suona: “Manda la tua luce e la tua verità; siano esse a guidarmi, mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora.”), era un altro discorso, perché toccava al Sacerdote celebrante.
(2) GIUSEPPE VERDI, Falstaff, Libretto di ARRIGO BOITO, 9 febbraio 1893.
Il Maestro, alla prima esecuzione al Teatro alla Scala, fu chiamato in tutto 16 volte alla ribalta.

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