Cappuccini per la Francia .2

Cappuccino due volte per il bene della Francia cattolica

Stiamo parlando nientemeno che di Enrico, conte de Bouchage, un vero galantuomo di corte, apprezzato e stimato dal re Enrico II, che lo volle maritare con Caterina de la Valette, ragazza di profondi sentimenti cristiani e dedita alla pratica delle virtù. Il nostro Enrico amava molto i cappuccini, tanto da essere chiamato avvocato dei frati. Purtroppo il dolore, la tragedia visitò ben presto la casa di Enrico che dovette piangere lacrime amare per la morte prematura della sua adorata consorte Caterina che morì appena compiuti 22 anni. Enrico toccò con mano la fugacità di tutte le cose e gli affetti umani e dopo profonda e intensa riflessione nella notte del 4 settembre del 1586 entrò nel convento dei cappuccini di Saint-Honoré, cambiando il nome in Angelo. Tutti i tentativi di riportarlo all’antica vita di gloria e piacere, furono inutili. Distrusse ogni forma di gloria umana inabissandosi nell’umiltà. Quando seppe che nella battaglia contro gli Ugonotti persero la vita due suoi fratelli, si riaccesero in lui gli antichi bollori del guerriero e fu tentato di abbandonare l’abito cappuccino per riprendere le armi e vendicare il sangue dei fratelli. Ma il fuoco della preghiera incenerì questi sentimenti di vendetta. Fu preso allora dalla malattia spirituale del tedio e ne parlò col sua direttore spirituale e guarì da questa devastante malattia spirituale attraverso l’assidua preghiera senza mai mollare. Ma ecco come le sorti della Francia cambiarono di forma impensata la vita di frate Angelo! La nostra vita è davvero misteriosa! Appena fu assassinato Enrico III, si poneva il problema della successione al trono di Francia, perché il re moriva senza lasciare eredi. Il diritto spettava a Enrico IV che era ugonotto e calvinista e la maggioranza cattolica dei francesi non accettava un protestante. I componenti la Lega cattolica si prepararono per una eventuale guerra in opposizione al re protestante. Si recarono dal cardinale e arcivescovo fratello di fra Angelo, della nobile famiglia Giojosa. Questi si rifiutò dicendo che mai era stato uomo di armi. Allora la scelta cadde su frate Angelo e andarono da cappuccini supplicandolo che avesse pietà della Francia, della sua provincia rimasta in balia degli eretici. Fra Angelo si rifiutò categoricamente certo di commettere un peccato di apostasia se avesse lasciato l’abito. Fu allora tenuta una assemblea di vescovi, teologi e parroci che decisero all’unanimità “che il padre Angelo doveva, sotto pena di peccato mortale, lasciar l’abito ed accettare il governo che gli veniva offerto, pel mantenimento e la conservazione della fede cattolica, in attendendo la dispensa del Papa che si mandava a dimandare a Roma” (p.130). Il nostro frate di fronte a tante ragioni finì per cedere e fra le lacrime “cangiò l’abito colla corazza, il cingolo col budriere” (idem). Il fratello arcivescovo gli consegnò la spada con la quale, in nome di Dio, doveva scacciare gli avversari “Accipe gladium sanctum!”. L’antico guerriero disse che accettava unicamente per “la difesa della religione cattolica, per la quale era pronto a versare fino all’ultima stilla del suo sangue” (idem). Così fra Angelo divenne di nuovo Enrico di Giojosa nell’anno 1592, sei anni dopo essere entrato dai cappuccini. Aveva 29 anni! (continua)

fr. Renato Camagni

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