Due occhi per vedere e un cuore per amare

Nelle terre turche era sopravvissuto sicuramente qualche umorista e vedendo quattro cenciosi fraticelli, nulla tenenti se non la croce e la Bibbia, mostrò loro una chiesetta diroccata, sullo stile di san Damiano e disse loro: “questa sarà la vostra sede”. Non ci volle molto tempo per fare i ripari più urgenti, perché con san Francesco avevano imparato a vivere sotto le stelle o dentro qualche grotta. Per loro la cosa importante era restaurare le coscienze e il corpo dei fratelli e si buttarono a capo fitto per “tenere in piedi i fedeli fra gli infedeli (musulmani), di fare che il loro esempio non servisse di ostacolo alle altrui conversioni, di camparli dallo sdrucciolo dell’apostasia” (p.62) e spendere le proprie energie come gli apostoli per confermare i fratelli nella fede. La testimonianza di un missionario scaturisce dall’esperienza del roveto, quella che fece Mosè: vede che la sofferenza dei fratelli è quella di Dio che non sopporta la schiavitù e ti manda per liberare. Videro subito i nostri fraticelli, antesignani di una chiesa in uscita, chiesa della periferie, la dura situazione nella quale versavano migliaia di cristiani negli ergastoli turchi per la gran piaga della pirateria. Il saggio fra Pietro destinò fra Giuseppe a questo lavoro tra i miseri per istruirli e consolarli con la certezza che Giuseppe avrebbe trovato nella carità divina quella creatività per inoltrarsi inosservato in quegli ambienti pericolosi. Vale la pena sapere ciò che fra Giuseppe vide: “Nell’entrare che fece Giuseppe in questo luogo, rimase trafitto dal dolore in vedendo le grandissime miserie di quei meschini cristiani, che stavano incatenati ed erano per così dire, immersi nelle sordidezze e per la maggior parte coperti di piaghe, senza ristoro né sollievo alcuno; e privi di soccorsi spirituali, in pericolo evidente di rinnegare la fede per liberarsi da quello stato” (p.62). Il caro Giuseppe  dalla mattina alla sera e a volte per intere settimane restava in mezzo a loro consolandoli con la Parola del Signore e andando incotro a tutte le loro necessità, lavandone le ferite e guarendo soprattutto quelle del cuore con il suo amore. La sua opera di evangelizzazione fu così efficace che in “breve tempo bandì da quell’ergastolo le parole oscene, gli spergiuri, le bestemmie (forse è per questo che a volte si dice: Bestemmia come un turco!), gli odii e le disperazioni; e da un ridotto di iniquità lo cambiò quasi in un monastero di religiosi” (p.63). Purtroppo una sera fu fu sorpreso ben nascosto dai soldati che gli dettero una scarica di legnate da lasciarlo mezzo morto e poi lo misero in prigione “ed ivi stentò per un mese, a capo del quale s’interpose il bailo (ambasciatore) di Venezia e fu lasciato libero” (p. 63).
Fra Renato

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