Fatti a immagine di chi? (Mt 22,15-22) Domenica XXIX

Seguendo la narrazione di Matteo, la questione sul tributo a Cesare è la prima di quattro dispute che Gesù tiene nel tempio, eludendo i tranelli che gli vengono posti, uscendo vincitore dal confronto con i suoi avversari. Nella tradizione ecclesiale solo recentemente il brano è stato colto come indicativo per cercare di risolvere il rapporto fra la chiesa e lo stato, perché per molti secoli, la questione è stata affrontata in base al testo paolino di Rm 13,1-7.

Se la tradizione cattolica il rapporto con lo stato assume importanza solo nell’età moderna, per la riforma protestate, invece, si trattò fin dall’inizio di un punto cardine, sottolineando, attraverso il commento del brano di Mt 22, il valore dell’ubbidienza all’autorità statale. Le vicende che diedero inizio alla seconda guerra mondiale spinsero anche l’esegesi protestante verso una lettura critica dell’appartenenza allo stato. Si ricompone, così, una visione sovraconfessionale che si riallaccia alle posizioni della chiesa antica. Dalla fine del II secolo si condivide l’idea dell’uomo immagine di Dio, contrapposta alla moneta immagine dell’imperatore. La prima relazione indica quale obbedienza sia prioritaria.

Venendo al testo, la moneta mostrata a Gesù era il denario di Tiberio e circolava comunemente in Palestina. Sul diritto, intorno alla testa dell’imperatore vi era incisa la frase Ti(berius) Caesar Divi Aug(usti) F(ilius) Augustus. Sul rovescio, all’interno della scritta Pontif(ex) Maxim(us), era raffigurata come dea della pace l’imperatrice madre Livia. La prima risposta di Gesù appare banale, al contrario dell’esortazione finale di dare «a Dio ciò che apaprtiene a Dio» (Mt 22,21d). Il comandamento dei comandamenti, quello che li racchiude tutti è l’obbedienza a Dio. Nella sua distanza incolmabile verso le creature, attraverso le parole di Gesù, Dio rivendica un’autorità senza confronti; a lui appartiene tutto; è il Signore della storia e della vita degli uomini.

Il testo non offre una luce sul rapporto che i credenti devono tenere verso l’autorità civile né su quale possa essere la relazione fra chiesa e stato. La luce sfolgorante che dovrebbe illuminare il nostro cammino di fede è l’assolutezza dell’obbedienza a Dio, il Signore. Come questo debba accadere mette in gioco la dimensione ecclesiale della nostra coscienza. L’obbedienza a Dio nasce dall’ascolto della sua Parola, in quel sacrario intimo che è la nostra coscienza, dove ci troviamo come persona ecclesiale davanti allo Spirito che ci interpella. In questo luogo dell’obbedienza filiale, vissuta nella libertà dell’amore, accade un processo di cristificazione: cresciamo nell’essere immagine di Cristo, diventiamo trasparenza del suo amore verso ogni uomo e donna venuti al mondo.

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