Gli odori della stalla 1. Dall’universo al multiverso

Il Testamento (FF 110-131) di san Francesco si apre con un breve resoconto della sua conversione. Francesco pone come evento fondamentale l’essere condotto dal Signore tra i lebbrosi.

«Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo.» FF 110

«In apertura del Testamento “frate Francesco” (la firma è già un programma di vita) offre subito le chiavi essenziali di lettura della sua esperienza evangelica: dove primo protagonista è il Signore con la sua grazia, il fare penitenza è un “incominciare” che esige perseveranza nel ricominciare, mentre il così dell’inizio dice implicitamente due cose: che la conversione nasce da un modo nuovo di “vedere” la realtà, e che nessuno può convertirsi all’amore del Dio che non vede, se non ama il fratello che vede (cf. 1Gv 4,20).» FF p.99 nota 1

L’andare incontro al fratello bisognoso e amarlo non nasce semplicemente da uno sforzo personale ma da un lasciarsi guidare, da un affidarsi a qualcun altro (“il Signore stesso mi condusse”), cioè da un dare fiducia a un Altro, che non vedo con gli occhi del corpo, ma che avverto con quelli dello Spirito. L’unica risposta possibile, di fronte all’invisibile, è il fidarsi. Ma è anche un fidarsi del proprio cuore, un dare credito a un’intuizione, a qualcosa d’indefinito che pulsa interiormente e spinge ad agire piuttosto che restare bloccati nelle proprie paure o false sicurezze. Nasce come un bisogno che, per essere appagato, necessità di rischiare, di venire allo scoperto, di mettersi in discussione, di osare: di un atto libero della propria volontà. Finché non siamo disposti a ad amare veramente, non siamo disposti a vivere pienamente.

La conversione ha origine da un moto interiore ma si attua passando per la concretezza della realtà esteriore: l’Altro mi si fa presente nell’altro, Dio lo vedo nella luce che brilla nello sguardo del fratello, l’Amore lo incontro quando lo vivo nella tangibilità del gesto d’amore verso il prossimo. Andare verso una reciprocità che diventa pienezza di vita perché pienezza d’amore.

È il fratello che mi fa prendere la distanza dal mio egoismo, dai miei punti di vista personalistici, dal mio agire per tornaconto, dal mio parlare per apparire. È il fratello che mi fa scoprire per quello che sono e la mia atavica incapacità di amare veramente (“quando ero nei peccati”, dice Francesco). Il fratello è il luogo verso cui andare per uscire dalla mia valle incantata e allargare gli orizzonti, per smettere di vedere il mondo a un verso solo, il mio. È l’esodo necessario da compiere dal nostro universo, al multiverso dell’amore di Dio presente nei fratelli. È avventurarsi in un viaggio sconosciuto per scoprire i nostri deserti interiori, e poi farvi ritorno con occhi nuovi, persone nuove perché cambiate nell’animo e nello spirito, e così trovare abbondante pascolo nel vero amore.

“E allontanandomi da loro”, cioè dai peccati, che si scopre una nuova vita, una prospettiva diversa che è apertura e respiro dell’anima, e tutto non appare più come prima: è l’amore che rende nuove tutte le cose, anche il nostro cuore.

La vita è una scuola d’amore: solo amando s’impara ad amare. Soltanto l’Amore può cambiare l’amaro, più o meno intenso, sperimentato nella personale vita quotidiana, “in dolcezza di animo e di corpo”, cioè in gioia, pace, serenità.

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