Il paradosso dell’amore

Tra gli episodi che san Francesco pone all’origine della sua conversione, ci sono sicuramente i suoi incontri con i lebbrosi. Il rapporto con questi fratelli bisognosi non fu semplice per Francesco, che ne provava una vera e propria ripugnanza. Il giovane assisiate capiva però che questo suo atteggiamento di rifiuto costituiva un grave impedimento nella crescita nell’amore, cioè verso Dio. Così narra la Leggenda dei tre Compagni:

«Confidava lui stesso che guardare i lebbrosi gli era talmente increscioso, che non solo si rifiutava di vederli, ma anche di avvicinarsi alle loro abitazioni. E se a volte gli capitava di passare accanto alle loro dimore o di vederne qualcuno, sebbene la compassione lo stimolasse a far loro l’elemosina per mezzo di qualche altra persona, lui però voltava sempre la faccia dall’altra parte e si turava le narici con le proprie mani. Ma per grazia di Dio diventò compagno e amico dei lebbrosi così che, come afferma nel suo Testamento, stava in mezzo a loro e li serviva umilmente.» FF 1408

La crescita nell’amore vero, quello oblativo, del diventare dono perché gli altri abbiano la vita, ci pone dentro un paradosso esistenziale, ribaltando totalmente le categorie comportamentali che abitualmente guidano le nostre relazioni interpersonali. Per crescere nell’amore vero, Dio stesso indica a Francesco il da farsi:

«Mentre un giorno stava pregando fervidamente il Signore, gli fu risposto: «Francesco, se vuoi conoscere la mia volontà, devi disprezzare e odiare tutto quello che amavi mondanamente e desideravi possedere. Quando avrai cominciato a fare così, ti parrà insopportabile e amaro quanto per l’innanzi ti era attraente e dolce; e dalle cose che una volta aborrivi, attingerai grande dolcezza e immensa soavità».

Il Signore indica a Francesco di attuare un radicale ribaltamento dei suoi schemi mentali e relazionali, mettere da parte il suo senso di conservazione per affidarsi totalmente all’amore di Dio. Solo così il suo cuore potrà aprirsi all’amore vero e “dalle cose che una volta aborrivi, attingerai grande dolcezza e immensa soavità”.

«Felice di queste parole e divenuto forte nel Signore, Francesco, mentre un giorno cavalcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso. E poiché di solito aveva grande orrore dei lebbrosi, fece violenza a se stesso, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano. E ricevendone un bacio di pace, risalì a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò progressivamente a non fare più alcun conto di se stesso, fino a giungere alla perfetta vittoria su di sé, con la grazia di Dio. Trascorsi pochi giorni, prese con sé molto denaro e si recò all’ospizio dei lebbrosi; li riunì tutti insieme e distribuì a ciascuno l’elemosina, baciando loro la mano. Nel ritorno, ciò che prima gli riusciva amaro, vedere cioè e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza.» FF 1407-1408

Messa da parte ogni paura di contagio e timore umano, Francesco si sforzò (“fece violenza a se stesso”) di agire secondo la volontà di Dio, così poté fare esperienza della verità contenuta nelle parole di Colui che aveva parlato al suo cuore e “ciò che prima gli riusciva amaro, vedere cioè e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza.”

Francesco scopre che per guarire la sua incapacità di amare deve abbandonarsi e fidarsi dell’Amore. Per sanare le proprie ferite generate dall’individualismo, dalla non accettazione e dallo scarto del fratello in difficoltà, dall’erronea idea di costruire la propria felicità semplicemente girandosi dall’altra parte di fronte alle ingiustizie e disparità sociali, semplicemente escludendo il diverso chiudendogli il proprio cuore, Francesco scopre che è necessario prendersi cura delle ferite dell’altro, andarlo a cercare là dove si trova e provare a portargli soccorso, conforto, sollievo. Francesco impara a conoscere sé stesso prendendosi cura dei fratelli, a curare le proprie piaghe medicando quelle del prossimo, guarisce il proprio egoismo amando l’uomo che Dio gli pone davanti in ogni suo aspetto, impara a togliersi di dosso il cattivo odore della morte prodotto dal non amore generando vita con un amore oblativo, facendosi dono d’amore perché negli altri possa rinascere la gioia e risplendere la vita vera, farli rinascere a vita nuova.

Questo è il grande paradosso dell’amore: curando le ferite dell’altro guarisco i miei dolori; amando l’altro nelle e attraverso le sue piaghe, amerò anche me stesso con e nelle mie sofferenze. Sarà vera comunione perché condivideremo le nostre vite nell’amore oblativo e nella verità di noi stessi. Sarà condivisione sincera, senza ipocrisie o doppi fini, e sperimenteremo l’autenticità della parole di Gesù: «chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà.» Mc 8,35 È amando che si guariscono le ferite, è vivendo del Suo amore che si trovano la gioia vera e la vita eterna.

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