Le «case di recollezione»

«Case di Recollezione» o, più semplicemente, Case di ritiro: da qui riprendiamo il discorso. Lo abbiamo lasciato con i frati Stefano da Molina (Spagna) e Bernardino d’Asti, i quali, già prima, e poi nel 1525 ottengono alcuni eremi francescani per condurvi una vita “stretta”. Nello stesso anno, in Italia, si organizzano vere e proprie Case di ritiro volute dall’Ordine francescano. Tuttavia l’anno della loro affermazione si può considerare il 1526: nel Capitolo generale – la riunione di tutti i frati – ad Assisi, vengono pubblicati appositi Statuti per tali Case, essendo Ministro generale Francesco de Quiñones (già citato in precedenza). Questo segna un traguardo per i frati che desiderano riformarsi: ad un gruppo di essi viene concesso di assumere una vita ritirata e di osservare con strettezza la regola francescana. Ma possono autodefinirsi «riformati»? Da quanto scrive il Ministro generale sembrerebbe di no, dal momento che si riproporrebbe il problema affrontato dalla Ite vos. Proprio quest’ultima, infatti, era detta anche «Bolla d’unione» perché voleva rimediare alla vicenda interna ai francescani dell’Osservanza, evitando il pericolo che si creassero nuove divisioni.

Analizziamo da vicino, se pur sinteticamente, in che modo venga tradotto l’ideale “riformato” nella pratica di vita delle Case di ritiro. Lo facciamo tramite quegli Statuti del 1526 di cui abbiamo fatto cenno sopra. Il testo degli Statuti si presenta composto di tre capitoli, il cui titolo permette di avere uno sguardo d’insieme sul loro contenuto: I. Ufficio divino, orazione, silenzio; II. Osservanza della povertà; III. Genere di vita interiore ed esteriore.È significativo che si inizi a trattare della preghiera. Il fatto che quest’ambito sia al primo posto sembra indicare che è riservato un ruolo centrale a ciò che riguarda lo spirito per sottolineare quanto sia determinante per informare la vita concreta delle Case di ritiro francescane. Per verificare tale considerazione approfondiamo il tema tramite due aspetti propri della vita prescritta nelle Case: la radicalità e l’ascesi. 

Riprendiamo la tripartizione degli Statuti, di cui sopra: preghiera, povertà e vita interna-esterna. La preghiera comprende diverse componenti: l’ufficio divino (oggi detto «Liturgia delle Ore», cioè salmi e altre preghiere a diverse ore del giorno); l’orazione mentale (cioè la meditazione); il silenzio (con tempi e spazi stabiliti allo scopo di garantire un “clima” di raccoglimento). Radicalità e ascesi nella qualità della preghiera affiorano dal dettato degli Statuti. La povertà è favorita prescrivendo un numero ridotto di frati per ogni Casa, consentendo così di non fare grandi provviste. La radicalità emerge dal rigore delle norme su indumenti e calzature, offerte per messe e altro, elemosine, paramenti e vasi sacri. Si pratica così l’ascesi che si riscontra anche nel modo di procurarsi il vitto. La vita interna-esterna è sorretta da pratiche ascetiche come il digiuno, l’astinenza dalla carne (associata alla passione di Cristo, come esercizio di umiltà e austerità), le mortificazioni, la disciplina (cioè l’uso di autoflagellarsi). Si nota la tendenza a minimizzare le esigenze concrete della vita umana, portando a marginalizzare il corpo rispetto allo spirito in un contesto storico-cristiano diverso da quello attuale. (fr. Silvio Carena ofmcap)

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