NELLA PREGHIERA LA PIENEZZA

Al punto 3 del numero 45 delle Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini, si legge:

«Nella preghiera, rispondendo a Dio che ci parla, raggiungiamo la pienezza in quanto usciamo dall’amor proprio e, in comunione con Dio e con gli uomini, ci trasferiamo in Cristo Dio-Uomo.»

Nei due punti precedenti era posto l’accento sulla preghiera come ascolto della voce di Dio che parla nell’intimo dell’uomo. Qui s’intesse un dialogo tra il divino e l’umano, con la risposta di quest’ultimo. Essa arriva dopo l’ascolto, è quindi una conseguenza di ciò che l’ha preceduta. Questa dinamica ascolto-risposta richiama la professione di fede del popolo d’Israele, lo Shema Israel (Ascolta Israele), di Dt 6,4-5: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.» Il testo biblico pone l’amore come un comando, che comunque deriva dopo un ascolto che lo precede e ne causa l’esistenza: l’amore dell’uomo prende forma e realtà solo come e in quanto risposta all’amore di Dio che lo previene (cf. 1Gv 4,10.19). È questo amore che rende possibile l’esistenza di tutta la creazione e la sua capacità di risposta sintonica e comunionale.

È in questa dinamica relazionale ascolto-risposta con l’amore che è Dio (cf. 1Gv 4,8.16) che “raggiungiamo la pienezza in quanto usciamo dall’amor proprio”, ci allontaniamo da un atteggiamento egoistico ed egocentrico per entrare in un rapporto di dono-accoglienza. Ascoltare la voce di Dio che parla nel proprio intimo, non come mera chiusura e ripiegamento solipsistico, cioè di chi risolve ogni realtà in sé medesimo, ma apertura dialogica all’‘Altro’ per dischiudersi, conseguentemente, all’‘altro’ cioè il creato. Tutto ciò non in un atteggiamento di dominio ma “in comunione”: entrare in noi stessi per incontrare Dio e ascoltare la Sua Voce per poi spalancare il proprio cuore all’accoglienza del simile. È un cammino inizialmente interiore, per prepararci in seguito a un esodo da noi stessi: farci maturare nell’amore di Dio, per divenire a nostra volta dono d’amore per la vita del mondo, trasformandoci (“ci trasferiamo”) “in Cristo Dio-Uomo”.

Questa condizione spirituale è raggiunta “nella preghiera”, che è dialogo tra la creatura e il Creatore. Essa apparentemente sembra qualcosa d’improduttivo, che non serve a migliorare il mondo, ma nella nostra breve riflessione abbiamo evidenziato che, al contrario, essa è indispensabile per raggiungere “la pienezza” della nostra natura, essere pienamente umani, cioè persone amate e quindi capaci di amare; persone consapevoli che in noi stessi c’è la presenza di uno Spirito di vita e perciò costituiti datori di vita a nostra volta, e dunque anche pienamente libere per poter compiere ogni opera in tale dignità e coscienza (cf. 1Gv 4,7-19).

Questo è il bellissimo e affascinante percorso che propongono le Costituzioni, che è la via del Cristianesimo, la via percorsa da san Francesco, cioè essere degli ‘Alter Christus’:

«Il verace servo di Cristo santo Francesco, però che in certe cose fu quasi un altro Cristo, dato al mondo per salute della gente, Iddio Padre il volle fare in molti atti conforme e simile al suo figliuolo Gesù Cristo.» (FF 1835)

«Per quanto egli fosse inesperto nell’arte del dire, pure, pieno di scienza, scioglieva il nodo dei dubbi e portava alla luce le cose nascoste. E non è illogico che il santo abbia avuto in dono la comprensione delle Scritture, giacché portava descritta la loro verità in tutte le sue opere, in quanto era imitatore perfetto di Cristo, e aveva in sé il loro autore, in quanto era ripieno dell’unzione dello Spirito Santo.» (FF 1189)

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