«Oggi c’è bisogno di una rinnovata stagione di impegno educativo, che coinvolga tutte le componenti della società, poiché l’educazione è il naturale antidoto alla cultura individualistica, che a volte degenera in vero e proprio culto dell’io e nel primato dell’indifferenza.»

Parole intense quelle di papa Francesco nel discorso al Corpo diplomatico lo scorso 8 febbraio, per evidenziare un’urgenza educativa che ormai non è più procrastinabile, visto il crescente senso di vuoto dilagante nei più giovani, ultimamente sfociante in drammatici episodi di risse organizzate in piazza, estorsioni perpetrate da baby-gang, uso di alcolici e stupefacenti in età sempre più precoce. Urgenza educativa che nasce dalle carenze che affliggono il nucleo fondamentale della società, la famiglia (cf. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 1981, n.42), dove i ruoli e l’identità della componente genitoriale sono confusi o assenti.

«Non si può dimenticare che l’elemento più radicale, tale da qualificare il compito educativo dei genitori, è l’amore paterno e materno, il quale trova nell’opera educativa il suo compimento nel rendere pieno e perfetto il servizio alla vita: l’amore dei genitori da sorgente diventa anima e pertanto norma, che ispira e guida tutta l’azione educativa concreta, arricchendola di quei valori di dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio, che sono il più prezioso frutto dell’amore.» Familiaris consortio 36

La carenza nel ‘compito educativo’, e quindi nell’amore, è riscontrabile specialmente nella figura paterna. Papa Francesco, in occasione dell’indizione dell’Anno di San Giuseppe (8 dicembre 2020 – 8 dicembre 2021), per celebrare il 150° anniversario della proclamazione di San Giuseppe a Patrono della Chiesa universale, ha scritto la Lettera Apostolica Patris corde. Nel capitolo sette del documento, il Pontefice evidenzia che «nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di padre.» Continua il Papa:

«Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti.»

Esercitare la paternità è prendersi cura. Anche San Giuseppe «ha sempre saputo che quel bambino non era suo, ma era stato semplicemente affidato alle sue cure.» La paternità è sempre espressione di un amore sincero e disinteressato, perché «non è mai esercizio di possesso, ma “segno” che rinvia a una paternità più alta», quella di Dio.

«Ogni figlio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà.» Un padre è tale se è

«consapevole di completare la propria azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso “inutile”, quando vede che il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita.» «Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze.»

Un padre è tale se è per il figlio maestro di vita, se gli comunica con le parole e l’esempio il senso dell’esistenza.

«Il mondo ha bisogno di padri», ha bisogno di persone mature che sappiano prendersi cura del prossimo, ma «rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione.»

«Accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù.

La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé.»

Ama veramente solo chi si mette al servizio di Dio e del prossimo, chi si fa dono per amore: questi è ‘padre’ e ‘casto’.

«Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità.»

Così, come la società civile,

«anche la Chiesa di oggi ha bisogno di padri. È sempre attuale l’ammonizione rivolta da San Paolo ai Corinzi: “Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri” (1 Cor 4,15); e ogni sacerdote o vescovo dovrebbe poter aggiungere come l’Apostolo: “Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo” (ibid.). E ai Galati dice: “Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!” (4,19).»

La vera paternità è dare la forma di Cristo, vivendo una vita evangelica.

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