IL BELLO PIÙ BELLO PER CONTRASTO

Siede la terra dove nata fui
  su la marina dove ’l Po discende
  per aver pace co’ seguaci sui.
(1)

L’assoluta autonomia della terzina lascia alla fantasia di potersi perdere in un piano aperto e spazioso a perdita d’occhio da una parte; dall’altra nella vastità d’un mare calmo piatto, che rispecchia il cielo: il mobile confine tra le due immensità avanza e arretra di poco, ritmicamente, con una nenia sorda dai toni lenti e bassi.

L’unico elemento di riferimento oggettivo è il Po; così la fantasia, senza sminuirsi, colloca subito a sinistra la pianura, a destra il mare, mentre il labile confine è tracciato da una sinuosa demarcazione quasi verticale. La portata del corso è andata man mano aumentando per via degli affluenti e l’acqua spinge se stessa fin dove poter finalmente sfociare: l’arrivo, il traguardo raggiunto dopo la corsa rapida; l’ampiezza falcata dell’orizzonte: la pace.

Il bello della poesia dice o anche solo suggerisce, insinua, sussurra pensieri, ricordi, sentimenti,… magari ineditamente mescolati o anche confusi tra loro, come i fantasmi di un sogno: sempre esclusivamente e profondamente personali e però reciprocamente comunicabili: arricchendo chi parla, nel tentativo di dare voce sonora alla voce interiore della propria anima; e chi ascolta, nell’interiorizzare qualcosa di assolutamente nuovo, che non è mai neppure esattamente quello che l’interlocutore aveva almeno l’intenzione di comunicare: “all’intenzion dell’arte… a risponder la materia è sorda (2)” e “quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur” (*).

Come sia, il contesto permette di sapere, dopo un po’, che è Francesca a far cenno del suo luogo natale e, conseguentemente, la terra che siede sulla marina è Rimini. Con la viabilità dei nostri tempi tra Rimini e il Delta del Po ci sono 142 chilometri: la costa si delinea come vuole e come può, ma anche in linea d’aria si tratta sempre d’un centinaio di chilometri e passa più a nord.

Il non aver precisato geograficamente il posto – e, ovviamente, neppure le distanze, per cui qualunque città o paese della costa adriatica, con magari alle spalle un più o meno ampio entroterra pianeggiante, può essere ugualmente come sopra descritto – permette che si aggiunga bello al bello, perché la pittura perfino trasognata della terzina va acquistando nel ricordo di Francesca una nota ulteriore, fatta di malinconia sottile, di nostalgico rimpianto.

Ma il contrasto più forte è con la pena che tormenta i dannati del secondo cerchio, nella cui schiera sono, con gli altri, travolti Paolo e Francesca:

Io venni in loco d’ogni luce muto,
  che mugghia come fa mar per tempesta,
  se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta,
  mena li spirti con la sua rapina:
  voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina,
  quivi le strida, il compianto, il lamento;
  bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch’a così fatto tormento
  enno dannati i peccator carnali,
  che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l’ali
  nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
  così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di su li mena;
  nulla speranza li conforta mai,
  non che di posa, ma di minor pena.
(3)

Il buio del luogo, il mugghiare del mare in tempesta, la bufera infernal che mai non resta…: tutto si rovescia sugli spiriti mali, sui peccator carnali, sbatacchiandoli per ogni dove e senza posa. La terzina, che citavamo all’inizio di questo nostro divagare sul bello poetico, per il luogo in cui e per la soavità della persona da cui è sussurrata, non potrebbe avere una maggiore e più potente suggestione, che quasi “’ntenerisce il core (4)”, trasforma il respiro in un sospiro, e inumidisce gli occhi di chi legge, che cercano senza vergogna gli occhi di un volto gentile, come a dire: e tu,… “se non piangi, di che pianger suoli? (5)”.

Note

(*) Ciò che viene ricevuto, è ricevuto secondo la capacità del ricevente

(1) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Inferno, Canto V, 97-99
(2)            o. c., Paradiso, Canto I, 128-129
(3)            o. c., Inferno, Canto V, 28-44
(4)            o. c., Purgatorio, Canto VIII, 2
(5)            o. c., Inferno, Canto XXXIII, 42

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