«Credere» e «mangiare» per avere la vita

Il brano che la liturgia ci offre in questa domenica è una parte del grande discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, discorso del quale abbiamo già dato una breve indicazione, ma che adesso riprendiamo con maggiore completezza. L’invito è a leggere per intero questo brano, nato da quanto Gesù ha pronunciato, ma sicuramente rielaborato e narrato dall’evangelista con un’attenzione particolare alla sequenza del discorso.

Con un’immagine pittorica ci troviamo di fronte a un dittico, due pannelli costruiti ad arte per coinvolgere chi ascolta o legge ad una risposta di fede viva e sacramentale. La composizione parallela delle due parti del dittico appare nella seguente tabella, dove si da indicazione dei singoli versetti di Gv 6:

La vita eterna atraverso la fedeLa vita eterna attraverso il mangiare
35a: «Io sono il pane della vita» (affermazione di Gesù su sé stesso)48: «Io sono il pane della vita» (affermazione di Gesù su sé stesso)
35b-40: invito a credere nella persona di Gesù, il pane disceso dal cielo, il Figlio del Padre, perché chi lo vede e «crede in lui abbia la vita eterna»49-51: invito a mangiare il pane disceso dal cielo, donato da Gesù, come la «mia carne per la vita del mondo»
41-42: obiezione da parte dei Giudei. Dubitano che Gesù sia disceso dal cielo52: obiezione da parte dei Giudei. Dubitano che Gesù possa dare la sua carne da mangiare
43-47a: Gesù ribatte l’obiezione, affermando con rinnovato vigore di venire dal Padre53-58b: Gesù ripete con forza che «la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda», mangiandone si riceve la vita del Padre
47b: «chi crede ha la vita eterna» (affermazione di Gesù sulla vita eterna per chi crede in lui, venuto Padre)58c: «Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (affermazione di Gesù sulla vita eterna per chi mangia di lui come pane disceso dal cielo)

Una possibile interpretazione del brano tende a dividere i due pannelli del dittico, sottolineando la vita ricevuta per la fede in Gesù e per l’atto di mangiare il pane del suo corpo. Ma è meglio dare un’interpretazione unitaria, confidando proprio nello sforzo dell’evangelista di costruire un brano così articolato e complesso, con i suoi continui rimandi e analogie. Allora si potrebbe affermare con semplicità quanto segue.

Gesù promette il dono della vita eterna, cioè di una vita in abbondanza, a chi si abbandona a lui come pane vivo, veramente disceso dal cielo, cioè dal seno di Dio Padre. Se l’atto del mangiare questo pane conduce ad una profonda comunione, facendo entrare nel mistero della vita divina, questo non avviene in modo magico, automatico, ma richiede una adesione di fede alla sua persona e al suo Vangelo. D’altra parte, il cammino di fede che si vive seguendo Gesù e le sue parole, prima o poi incrocia il mistero di un pane da mangiare e un vino da bere, presenza sacramentale della sua stessa persona. La manducazione sacramentale è compimento dell’adesione di fede.

Come proposito in questa domenica, potremmo prepararci con calma e fede alla comunione eucaristica. Mettendoci in fila, simbolo di un’appartenenza al popolo pellegrino nel deserto, andiamo incontro al Signore che si dona completamente a noi perché nella fede ci doniamo completamente a lui. Questo vuol dire il nostro AMEN ricevendo il Corpo di Cristo nelle nostre mani. Le nostre mani sono simbolo della culla che ha accolto il bambino Gesù; le nostre mani sono il lenzuolo che ne ha accolto il corpo deposto dalla croce; le nostre mani sono il desiderio di Maria di abbracciare il Signore risorto … le nostre mani sono il corpo della fede che si dona al Signore.

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