Esilio & Esiliati. 2. Esilio di Dante: le profezie nel Purgatorio

Memoria di Provenzan Salvani: il ghibellino superbo, vincitore a Montaperti, umile vincitore di sé per amicizia nella Piazza del Campo.

            Il Canto VIII dell’Inferno inizia con “Io dico, seguitando,…”, parole che fecero pensare al Boccaccio che i precedenti sette Canti fossero stati composti prima dell’esilio e che l’opera venisse ripresa dopo una lunga interruzione, – con spirito di ira buona, aggiungiamo noi, – contro l’ira cattiva del “fiorentino spirito bizzarro”, Filippo Adimari, detto Argenti, orgoglioso e tanto ricco da ferrare appunto con argento i suoi cavalli e che nella palude infernale “in sé medesmo si volvea co’ denti”.

            Come stiano le cose, noi seguitiamo ad una sola settimana di distanza, animati dal desiderio di una certa completezza espositiva e respirando l’aria mesta, ma serena, di chi cerca di far pace con se stesso, riconoscendo onestamente i suoi limiti personali e ammettendo umilmente le proprie colpe.

            Siamo nel Purgatorio, dove incontriamo altre tre profezie sull’esilio di Dante, anche con qualche accenno ai luoghi dove l’exul immeritus poté trovare, di volta in volta, ospitalità.

            La prima, abbastanza chiara, nella valletta dei principi negligenti dell’Antipurgatorio, nel Canto VIII. Corrado Malaspina(1), morto nel 1294, si presenta come discendente di Corrado il Vecchio, di cui porta lo stesso nome, e chiede a Dante notizie della Val di Magra, dove egli, in vita, fu potente marchese. Il Poeta risponde di non esserci mai stato, ma di conoscere quelle zone grazie alla fama della famiglia Malaspina: fama che è diffusa in tutta Europa. Corrado allora gli profetizza che ben presto, se i decreti divini non cambieranno, vedrà confermata questa sua opinione dalla diretta esperienza personale e non più solo dalle voci altrui, alludendo al fatto che il Poeta sarà ospite in Lunigiana durante l’esilio. Realmente egli vi si recò, nel 1306, in veste di paciere tra Franceschino Malaspina e il vescovo di Luni.

            Nel Canto XI (assai noto, tra l’altro, per la parafrasi iniziale del Padre nostro), un penitente si piega sotto il peso del masso, che grava sui superbi, riconosce il Poeta e lo chiama per nome, tenendo a fatica lo sguardo fisso su di lui. Dante lo riconosce a sua volta e gli chiede se sia Oderisi, l’onore di Gubbio(2) e il maestro dell’arte della miniatura. Il penitente risponde umilmente che più dei suoi sono apprezzati i codici miniati da Franco Bolognese, ciò che, per superbia, non aveva mai ammesso in vita e ora ne sta scontando la pena. Oderisi critica la gloria effimera degli uomini: cita l’esempio di Cimabue, superato nella pittura da Giotto, e di Guido Guinizelli, superato nella poesia da Guido Cavalcanti, mentre forse è già nato chi li vincerà entrambi.

            La fama mondana è solo un alito di vento, che soffia ora da una parte e ora dall’altra, sempre pronto a cambiare nome; è come il colore verde dell’erba, che va e viene ed è cancellato dallo stesso sole che l’ha fatta spuntare dalla terra. L’anima che cammina lentamente davanti a lui (Provenzan Salvani(3)) ne è un esempio: un tempo era noto in tutta la Toscana, ora a malapena si bisbiglia il suo nome a Siena. Alla fine dell’episodio Oderisi profetizza a Dante, in modo consapevolmente scuro, l’esilio, che lo costringerà a sperimentare la stessa umiliazione di Provenzano nel chiedere aiuto ai potenti.

            Infine, nel Canto XXIV del Purgatorio, tra i golosi della VI Cornice, Bonagiunta Orbicciani da Lucca(4), riconosciuto Dante, si rivolge a lui, mormorando il nome di Gentucca, che probabilmente allude a una donna che ospitò il poeta fiorentino durante l’esilio. Il colloquio con Bonagiunta, iniziatore della scuola poetica Siculo-toscana, verte tutto sul tema dello Stilnovo, e il lucchese, ascoltando le parole di Dante:

            52                    «… I’ mi son un che, quando
                                       Amor mi spira, noto, e a quel modo
                                       ch’e’ ditta dentro vo significando.»,

giungerà a concludere:

            55                    «O frate, issa vegg’io…. il nodo
                                       che ’l Notaro(*) e Guittone e me ritenne
                                       di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!».

(*) Giacomo da Lentini. (continua)

NOTE

(Sono riportati gli estremi dei brani relativi ai vari personaggi sopra richiamati e, per esteso, i versi propriamente riferentisi al tema dell’esilio)

(1) Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, VIII, 118-141

133                  Ed elli: «Or va; che ’l sol non si ricorca
                         sette volte nel letto che ’l Montone
con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,

137                  che cotesta cortese oppinione
                           ti fia chiavata in mezzo de la testa
                           con maggior chiovi che d’altrui sermone
141                  se corso di giudicio non s’arresta».

(2) o. c., Purgatorio, XI, 133-141

139                  Più non dirò, e scuro so che parlo;
                           ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
                           faranno sì che tu potrai chiosarlo.

(3) PROVENZAN SALVANI. – Ghibellino (Siena 1220 c. – Colle di Valdelsa 1269).

            Guidò i Senesi nella battaglia di Montaperti (1260) e, dopo la vittoria, “guidava tutta la città, e tutta parte ghibellina di Toscana faceva capo di lui” (Villani VII 31). Secondo la tradizione partecipò al congresso di Empoli e fu tra i sostenitori della necessità di distruggere Firenze: a lui e ai Pisani si oppose Farinata. Dopo la battaglia di Benevento (1266), che determinò il sopravvento dei guelfi, la sua fortuna cominciò a decadere.
            Pochi mesi prima della morte, per riscattare un amico prigioniero di Carlo d’Angiò, (probabilmente Bartolomeo Saracini), sulla cui testa era stata posta una taglia di 10.000 fiorini d’oro, “fece ponere uno banco con uno tappeto sulla piazza di Siena, e puosevisi a seder suso, e domandava ai Senesi vergognosamente ch’elli lo dovessino aiutare in questa sua bisogna di alcuna moneta, non sforzando persona, ma umilemente domandando aiuto, e veggendo li Senesi il signore loro, che solea esser superbo, dimandare così graziosamente, si commossono a pietade e ciascuno secondo suo podere li dava aiuto. Lo re Carlo ebbe li X mila fiorini e ’l prigioniero fuor di carcere, liberato dalla iniquità del re predetto” (Lana).

Nel Campo di Siena la “Pietra dell’amore” ricorda l’episodio.

Nel Campo di Siena la “Pietra dell’amore” ricorda l’episodio.


            Nella battaglia di Colle di Valdelsa (giugno 1269), dove i Senesi furono sconfitti dai Fiorentini “messere Provenzano Salvani, signore e guidatore dell’oste dei Sanesi, fu preso, e tagliatogli il capo, e per tutto il campo portato fitto in su una lancia” (Villani VII 31). Secondo la leggenda, si avverò così il presagio dell’incantesimo: “la tua testa fia la più alta del campo”.

(4) o. c., Purgatorio, XXIV, 43-48

43                    «Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
                           cominciò el, «che ti farà piacere
                           la mia città, come ch’om la riprenda.

46                    Tu te n’andrai con questo antivedere:
                           se nel mio mormorar prendesti errore,
                           dichiareranti ancor le cose vere…».

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