MAESTRO DI SIR JOHN FASTOLF, Libro delle Ore, c. 1440-1450, Oxford

                                               L’aiuola che ci fa tanto feroci,
                                                  volgendom’io con li etterni Gemelli,
                                                  tutta m’apparve da’ colli a le foci;…(1)

            Nel Cielo di Saturno, il VII, quello degli spiriti contemplanti, Dante incontra ed ascolta S. Benedetto; indi con lui, con un moto ascensionale di indicibile celerità, entra nella costellazione dei Gemelli, sotto il cui segno era nato, indicazione questa che ne delimita la data, circoscrivendola nell’arco di circa un mese nell’ambito del 1265:

                        O gloriose stelle, o lume pregno
                           di gran virtù, dal quale io riconosco
                           tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
                        con voi nasceva e s’ascondeva vosco
                           quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,
                           quand’io senti’ di prima l’aere tosco;(2)

            Il viaggio iniziato con tanta mortale paura l’8 aprile del 1300, Venerdì Santo, dopo “la notte” passata “con tanta pièta.(3)”, si apre alla speranza illuminata dal Sole primaverile in Ariete:

                        Temp’era dal principio del mattino,
                           e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
                           ch’eran con lui quando l’amor divino
                        mosse di prima quelle cose belle;…(4)

e porta Dante ad entrare in Paradiso verso mezzogiorno del mercoledì successivo, 13 aprile. Il giorno dopo, alla stessa ora, e per circa sei ore, il Poeta si troverà nell’ottavo Cielo, delle Stelle fisse: la pesantezza della materia è completamente vinta per la liberalità della grazia divina.

            Noi vogliamo soffermarci un momento su quello che passa nell’animo di questo privilegiato, quando in seguito ritorna con la mente su ciò che gli si è presentato proprio dopo quella subitanea ascesa, compiuta con una rapidità ancora più lesta di quanto uno non ritirerebbe il dito dalla fiamma che lo scotta. Ebbene, il pensiero guarda, da una parte, al futuro dopo la morte, speranzoso e desideroso di poter godere eternamente di “quel devoto trionfo” di cui ha avuto un saggio; dall’altra parte il provvidenziale oblio della colpa che ha accompagnato la conclusione del mistico viaggio, è cessato con il ritorno alla quotidianità: il ricordo di quanto contemplato consente (non completamente!) una sincera e edificante narrazione, ma si accompagna con i ricordi anche dei trascorsi, della “verace via” abbandonata, del “sonno” della mente, insomma delle “peccata”, che fanno ripetere mestamente un afflitto mea culpa, perché tra i fiumi terreni il Lete non c’è.

                        S’io torni mai, lettore, a quel divoto
                           triunfo per lo quale io piango spesso
                           le mie peccata e ’l petto mi percuoto,…(5)

            Chi è stato gratificato della grazia unica di poter contemplare da vivo i Misteri della fede e, “tornato al mondo, | e riposato de la lunga via(6)”, potrà comunicare la realtà della sua esperienza, senza tuttavia poterne trasmettere il profondo contenuto, tornerà anche lui come gli altri a guardare le stelle con il naso all’insù, “dall’infima lacuna | de l’universo(7)”, dove c’è sempre troppo spazio per il pianto colpevole e per quello innocente…: però un occhio lacrimoso anche l’immobile luce riflessa di un pianeta la vede brillare.

            Prima di tornare al senso del peccato come poteva essere avvertito al tempo delle Lamentazioni e in qualche Salmo, concludiamo, per ora, riportando quanto si legge in proposito nel Catechismo della Chiesa cattolica(8):

            Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana. È stato definito «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna». 109

            Il peccato è un’offesa a Dio: «Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto» (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da lui i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare «come Dio» (Gn 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è «amore di sé fino al disprezzo di Dio». 110 Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza. 111

Note
(1) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Paradiso, Canto XXII, 151-153
(2) o. c., Paradiso, XXII, 112-118
(3) Cfr. o. c., Inferno, I, 21
(4) o. c., Inferno, I, 37-40
(5) o. c., Paradiso, XXII, 106-108
(6) Cfr. o. c., Purgatorio, V, 130-131
(7) Cfr. o. c., Paradiso, XXXIII, 22-23
(8) Catechismo della Chiesa cattolica, 1849-1850
(9) Sant’Agostino, Contra Faustum manichæum, 22, 27: CSEL 25, 621 (PL 42, 418); cf San Tommaso d’Aquino, Summa theologiæ, I-II, q. 71, a. 6: Ed. Leon. 7, 8-9.
(10) Sant’Agostino, De civitate Dei, 14, 28: CSEL 402, 56 (PL 41, 436).
(11) Cf Fil 2,6-9.

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