I miei fratelli minori … (Mt 25,31-46) : Solennità di Cristo re

Un testo ancora tutto da scoprire.

Il brano del giudizio con cui si chiude la narrazione matteana prima dei capitoli sulla passione e risurrezione di Gesù è ben conosciuto nella sua apparenza generale. Non sempre, però, notiamo i particolari nel loro valore. È quello che cercheremo di fare per avere una luce sulla nostra attuale esistenza. Davanti al Figlio dell’uomo compaiono «tutti i popoli», che saranno divisi alla sua destra e alla sua sinistra. Vi sono gli angeli che sono al suo cospetto, ma dobbiamo ammettere anche la presenza di un terzo gruppo di persone, quelli che sono chiamati «questi miei fratelli del tutto insignificanti», fratelli minores nel latino della versione comune ai tempi di Francesco d’Assisi. Chi sono tutte queste persone?

Il Figlio dell’uomo appare come un re che emette un giudizio, che appare già scontato con la divisione. I dialoghi non hanno valore per la decisione del re, mostrano semplicemente la motivazione di una sentenza che è già stata presa. Da un punto di vista letterario, i due dialoghi introducono all’affermazione capitale, nelle sue due versioni: «ogni volta che… lo avete // non lo avete … fatto a uno di questi miei fratelli del tutto insignificanti, … lo avete // non lo avete … fatto a me» (v. 40.45). L’identifcazione del re con Gesù appare la più immediata e attendibile. Davanti a lui appaiono tutti i popoli: di chi si tratta? E poi chi sono i bisognosi, considerati fratelli dallo stesso Gesù? Si aprono quindi tre filoni di interpretazione della parabola.

(A) L’interpretazione oggi più diffusa ha un’accezione universale: il giudizio per tutti i popoli si baserà sulle opere d’amore verso ogni emarginato, i più insignificanti degli uomini, considerati da Gesù come suoi fratelli e sorelle. Punto determinante nell’interpretazione è l’ignoranza vissuta durante le azioni, positive o negative, nei loro confronti: «pecore e capri» non sanno di avere incontrato Gesù nei sofferenti. Bisogna riconoscre, però, che si tratta di una lettura moderna, importante solo dal XIX secolo.
(B) L’interpretazione classica fino al XIX secolo restringeva lo sguardo ai membri della comunità cristiana. Nel giorno del giudizio i credenti sarebbero stati giudicati in base alle loro opere di misericordia verso coloro che sono messi ai margini della vita sociale per le situazioni descritte. Probabilmente da qui, per l’uso del termine da parte del re (questi miei fratres minores), Francesco d’Assisi, insieme al nome, fece la scelta di vivere dalla parte degli emarginati della società civile e religiosa del suo tempo.
(C) Infine, un’interpretazione esclusivista legge i popoli come se fossero le genti (in greco ethnê, in ebraico gôjîm), cioè i pagani. Il racconto, allora, presenterebbe l’attenzione verso i cristiani bisognosi come via di salvezza per coloro che non appartengono alla comunità dei discepoli di Gesù.

Nonostante il fascino odierno della prima ipotesi, l’esegesi più corretta appare quella classica. Matteo ha visto nei fratelli/sorelle di Gesù i poveri e bisognosi della comunità cristiana e avvisa ogni discepolo di Gesù a prendere sul serio quelle che per i giudei era le opere d’amore (che non consistevano solo nell’elemosina, ma richiedevano impegno personale in una relazione di aiuto). Tuttavia è lecito dare al testo un valore diverso, se oggi corrisponde al sentire comune? In questo caso sì e sebbene l’esegesi affermi l’interpretazione (B), siamo chiamati a leggere il testo secondo (A): perché così invita a fare la storia intera di Gesù; perché si mantiene la medesima direzione del testo; perché, infine, si produce amore e lo si fa in grande.

Resta vero, alla fine, che non importa riconoscere Gesù, ma essere riconosciuti da Lui. E questo non accade solo nel giorno ultimo, perché un senso ulteriore di questo brano è l’invito ad aprire gli occhi sulla Presenza del Signore in mezzo a noi. Gesù ci dona occhi nuovi per conoscere in modo nuovo ogni emarginato e lo stesso volto di Dio.

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