Statua di Artemide (Diana), Museo del Louvre

KOL-’ĔLŌHÊ HĀ‘AMMÎM ’ĔLÎLÎM(*)
Μεγάλη ἡ Ἄρτεμις Ἐφεσίων.
(Grande è l’Artèmide degli Efesini!)

            L’idolatria come causa di tutti i mali, umilmente riconosciuta nel pianto e confessata nella supplica, è un aspetto dominante nelle Lamentazioni, non solo, ma anche in tanti altri Libri della Bibbia. Ne vogliamo un po’ diffusamente parlare, prima di tornare nel merito delle Lamentazioni e, più in generale, alla memoria indelebile dell’esilio in Babilonia.

            «24Un tale, di nome Demetrio, che era òrafo e fabbricava tempietti di Artèmide in argento, procurando in tal modo non poco guadagno agli artigiani, 25li radunò insieme a quanti lavoravano a questo genere di oggetti e disse: “Uomini, voi sapete che da questa attività proviene il nostro benessere; 26ora, potete osservare e sentire come questo Paolo abbia convinto e fuorviato molta gente, non solo di Èfeso, ma si può dire di tutta l’Asia, affermando che non sono dèi quelli fabbricati da mani d’uomo. 27Non soltanto c’è il pericolo che la nostra categoria cada in discredito, ma anche che il santuario della grande dea Artèmide non sia stimato più nulla e venga distrutta la grandezza di colei che tutta l’Asia e il mondo intero venerano”.
            28All’udire ciò, furono pieni di collera e si misero a gridare: “Grande è l’Artèmide degli Efesini!”. 29La città fu tutta in agitazione e si precipitarono in massa nel teatro, trascinando con sé i Macèdoni Gaio e Aristarco, compagni di viaggio di Paolo. 30Paolo voleva presentarsi alla folla, ma i discepoli non glielo permisero. 31Anche alcuni dei funzionari imperiali, che gli erano amici, mandarono a pregarlo di non avventurarsi nel teatro. 32Intanto, chi gridava una cosa, chi un’altra; l’assemblea era agitata e i più non sapevano il motivo per cui erano accorsi.
            33Alcuni della folla fecero intervenire un certo Alessandro, che i Giudei avevano spinto avanti, e Alessandro, fatto cenno con la mano, voleva tenere un discorso di difesa davanti all’assemblea. 34Appena s’accorsero che era giudeo, si misero tutti a gridare in coro per quasi due ore: “Grande è l’Artèmide degli Efesini!”. 35Ma il cancelliere della città calmò la folla e disse: “Abitanti di Èfeso, chi fra gli uomini non sa che la città di Èfeso è custode del tempio della grande Artèmide e della sua statua caduta dal cielo? 36Poiché questi fatti sono incontestabili, è necessario che stiate calmi e non compiate gesti inconsulti. 37Voi avete condotto qui questi uomini, che non hanno profanato il tempio né hanno bestemmiato la nostra dea. 38Perciò, se Demetrio e gli artigiani che sono con lui hanno delle ragioni da far valere contro qualcuno, esistono per questo i tribunali e vi sono i proconsoli: si citino in giudizio l’un l’altro. 39Se poi desiderate qualche altra cosa, si deciderà nell’assemblea legittima. 40C’è infatti il rischio di essere accusati di sedizione per l’accaduto di oggi, non essendoci alcun motivo con cui possiamo giustificare questo assembramento”. Detto questo, sciolse l’assemblea(1)».

            Con questo lungo brano, preso dagli Atti degli Apostoli, vogliamo appunto affrontare il tema dell’idolatria, così determinante nella teologia biblica per spiegare la catastrofe del 586 a. C., come pure di quella che precedentemente, nel 721 a. C., aveva portato alla caduta di Samaria.
            Nel brano degli Atti sopra riportato la protesta non nasce da una discussione sull’annuncio della Via del Signore o Via di Dio, – detta anche semplicemente la Via -, e cioè sulla sua credibilità e bontà; ma, siccome si presenta prima di tutto come un messaggio spirituale e monoteista, si prevede che finirà col mettere in crisi un artigianato pagano ben avviato e assai redditizio.

            La sedizione sarà scongiurata e gli animi verranno placati dal locale cancelliere evitando di entrare nel merito dell’annuncio, bensì facendo ricorso ad una solenne affermazione indimostrata e indimostrabile, che però è quello che la folla vuol che si dica e si ridica: «Abitanti di Èfeso, chi fra gli uomini non sa che la città di Èfeso è custode del tempio della grande Artèmide e della sua statua caduta dal cielo? Poiché questi fatti sono incontestabili, è necessario che stiate calmi e non compiate gesti inconsulti». Così, con astuzia e diplomazia, viene solennemente proclamata la perennità e intangibilità di quel culto e del relativo santuario, che non potrà mai essere minacciato da nulla e da nessuno.
            D’altra parte, a rigore, è vero che la predicazione apostolica non aveva condotto Paolo o altri a compiere atti di profanazione, per cui, salvati gli aspetti religiosi oggettivi, il problema di natura economica è ricondotto dall’abile oratore nei suoi apparenti limiti e, se del caso, dovrà essere affrontato nel foro competente.

            Si diceva di limiti apparenti, perché, in realtà, la portata del problema l’aveva, se non meglio percepita, meglio certamente oggettivata Demetrio, il cui torto non è quello di aver rilevato la radicale conflittualità esistente tra la nuova proposta e lo stato di fatto, ma nel supporre che una certa agiatezza non possa coesistere anche con una eventuale conversione ed una conseguente riconversione dell’artigianato.
            La portata paradigmatica dell’episodio è fin troppo evidente e ci permette di dispensarci dal fare confronti e scorgere attualizzazioni, ma solo perché sono, rispettivamente, troppi e troppe ed in continuo preoccupante aumento. (continua)

Note
(*) Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla (Sal 96,5)
πάντες οἱ θεοὶ τῶν ἐθνῶν δαιμόνια
omnes dii gentium inania
(1) At 19

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