Il tesoro di Priamo, scoperto da Schliemann
QUELLA CUPIDIGIA CHE È IDOLATRIA(*)
“Auri sacra fames”
(Esecrabile fame dell’oro)

            Sulla natura dell’idolatria, – lo dicevamo nel precedente articolo-, pare bene rifletterci un po’ sopra, in generale e con una certa attenzione, andando oltre il caso particolare, sia pure di notevole rilevanza.

            Uno degli aspetti più inquietanti dell’esistenza umana è la compresenza del bene e del male; subito dopo viene la questione se ciò che è bene per alcuni non sia male per altri e, ovviamente, viceversa: a ben guardare l’idolatria, quando nasce, scaturisce da qui e si propone surrettiziamente come un calmante, un placebo o una droga pur che sia per stordire le coscienze, quasi che il male partorisse anche il rimedio.

            L’idolo è sempre una proiezione fuori da sé di tutto un complesso, o anche un coacervo, di pulsioni, di prospettive, speranze, aneliti, contraddizioni, limiti,… di interessate autoassoluzioni capaci di capovolgere le valutazioni morali e assolutizzare compromessi e prevaricazioni: talvolta ad opera di singoli, ma più spesso di un gruppo culturale o di una classe sociale.

            L’idolo è la materializzazione estrinseca di ciò che intrinsecamente turba o appassiona; è nel pensiero, ma diventa amuleto, feticcio, stregoneria.

            Nel caso si tratti di un prodotto culturale, si possono raggiungere anche altezze poetiche; la classe, il ceto, la categoria cerca invece solo di legittimare e fare assurgere al rango di principio, di legge di mercato, quanto è soltanto uno stato di cose, sufficientemente soddisfacente per chi ci si trova dentro. Per dire: l’idolo Diana è, tra l’altro, la trasposizione mitica di uno dei due poli tra loro contrapposti, ossia verginità e passione sensuale; ma può anche far sognare boschi, foreste, animali selvatici, caccie e perfino la luna crescente, in un intreccio coinvolgente e un po’ fatato. L’idolo grezzo e famelico del dividendo azionario, la “auri sacra fames”(1), accarezza solo la smania del potere derivante dall’accaparramento, mentre schiaccia i piccoli, fa crollare case e viadotti, e produce armamenti sempre più distruttivi.

            L’idolatria di prima specie, quella culturale e, a modo suo, religiosa, si badi bene: ha essa pure ricadute nel tessuto quotidiano e basti ricordare quanto Diana giovasse agli orafi e argentieri di Efeso. Potrebbe sembrare che, tutto sommato, si tratti però di conseguenze meno catastrofiche di quelle prodotte dall’idolatria di seconda specie, – per chiamare così l’esecrabile fame dell’oro -; spesso, e magari anche a lungo, è così; ma accade anche che poi degeneri disastrosamente. La cultura dominante – intesa in senso ampio e, quindi anche come sottocultura e perfino come ignoranza affettata di cospicue fette di popolazione -, può portare a scelte selettive sommamente inique e addirittura assassine. Il “prima io” dell’apprendista dittatore di turno si diluisce proditoriamente in un iniziale “prima noi”, che deve stuzzicare molte pance e procurare un largo consenso. La massa egoista e rumorosa, – forse già propensa all’uso della violenza fisica -, che è andata coagulandosi, passerà dal “prima noi” al “solo noi”, meglio ancora “noi e solo noi”. Il dittatore manovratore e regista, se non ha già cominciato a farlo, potrà a quel punto tirar fuori l’asso dalla manica, cioè “io e solo io”: giacché il risentimento crescente in quei tanti, relegati prima in un chimerico “dopo” e finalmente confinati nel “mai”; le soperchierie da loro patite; l’assenza di futuro per i loro figli; l’umiliazione insopportabile e la precarietà di un’esistenza minacciata, insidiata, se non addirittura soppressa;… tutto questo costringe i facinorosi fautori del regime a sostenere il dittatore: la sua caduta, infatti, comporterebbe inevitabilmente il loro completo annientamento. Come vanno le cose! Per comandare c’è bisogno di chi obbedisce, e se tutti smettono di obbedire il comandante non può più comandare; ma se si tratta di obbedienza criminosa, non si può smettere di obbedire e il comandante comanda ancora di più. La mafia, il califfato, il razzismo, lo schiavismo, il colonialismo,… tutte cose di quello stampo. (continua)

Note
(*) Col 3,5
(1)      “   ˉ   ˘   ˘   |   ˉ   || Quid non mortalia pectora cogis,
     Auri sacra fames? ||   ˉ   |   ˉ   ˘   ˘   |   ˉ   ˘   ˘   |   ˘   ”
                                                           (P. VERGILII M., Æneidos libri XII, III, 56-57).
            Gli stichi di Virgilio, sopra riportati, si riferiscono al tentativo da parte di Polimestore, re di Tracia, di impossessarsi del tesoro di Priamo, suo suocero. Per raggiungere lo scopo ne uccise il figlio, Polidoro, che lo aveva con sé; a sua volta la madre Ecuba si vendicò del genero uccidendone i due figli a sassate e poi accecandolo. Il crudele finale ricorda la sorte subita da Sedecia, messo nelle mani di Nabucodonosor.

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