IL CANTO DELLE COSE MORTE. Macerie

Gaza, Macerie, 20 maggio 2021

“Con l’ascia e con le mazze(*)”…. coi missili e le bombe….

            Da un po’ di tempo, precisamente dai primi di maggio scorso, si cominciò a parlare della portata biblica della deportazione in Babilonia, sentita come un tragico castigo meritato in seguito all’infedeltà all’Alleanza, violata nei suoi dettami più specifici, ma anche stravolta per veri delitti commessi contro la stessa legge naturale.

            Quasi in seguito al suggerimento offerto dall’angosciata ammissione delle trasgressioni scatenanti la catastrofe, siamo poi andati a frugare in due capolavori della nostra letteratura, sia pure assai diversi tra loro, (La Divina Commedia e I Promessi Sposi), il senso proprio e figurato con il quale viene adoperata la parola “peccato”.

            Infine ci siamo soffermati alquanto, – e qui qualcuno potrebbe obiettare: dilungati, altroché,… e parecchio! Ma questa è una critica che non ci preoccupa, dal momento che parte dall’ipotesi assai remota che un siffatto qualcuno esista e sia stato tanto paziente, da essersi sorbita tutta intera la sequenza delle nostre divagazioni -,… dunque, riprendendo il discorso: ci siamo soffermati, si diceva, su alcuni problemi fra i tanti che si presentano quando si tratta di andare a fare una traduzione.

            È vero che non tutti gli aspetti che abbiamo toccato, o solo sfiorato, hanno più o meno diretta attinenza con le parole ebraiche e greche che esprimono, con accezioni almeno parzialmente diversificate, quello che per noi, alla fin dei conti, è il senso e il concetto di “peccato”. Allora mettiamola così: già che c’eravamo, abbiamo voluto dare una certa completezza di svolgimento al tema “traduzione”, limitatamente a quella manciata di casi concreti presi in considerazione, come si trattasse di un’unità espositiva a sé stante.

            Torniamo alle Lamentazioni e facciamo una scelta di alcuni pochi passi significativi e poetici, dove c’è un esplicito riconoscimento e una sincera confessione delle proprie colpe; riportiamo anche due versetti, paradigmatici della morale veterotestamentaria, contenenti il primo (Lam 1,22) l’imprecazione contro il tradimento degli alleati, il secondo (Lam 4,22) contro il peccato irremissibile commesso da Edom.

Lam 1 Het        8Gerusalemme ha peccato gravemente(1) | ed è divenuta un abominio.
                           Quanti la onoravano la disprezzano, | perché hanno visto la sua nudità.
                           Anch’essa sospira | e si volge per nasconderla.
      “… Tau      22Giunga davanti a te tutta la loro malvagità, | trattali
                           come hai trattato me | per tutti i miei peccati(2).
                           Sono molti i miei gemiti | e il mio cuore si consuma”.
Lam 3 Mem    39Perché si rammarica un essere vivente, | un uomo, per i castighi dei suoi peccati(3)?
            Nun     42Noi abbiamo peccato(4) e siamo stati ribelli, | e tu non ci hai perdonato.
Lam 4 Vau       6Grande è stata l’iniquità(5) della figlia del mio popolo, | più del peccato(6) di Sòdoma,
                           la quale fu distrutta in un attimo, | senza fatica di mani.
            Mem    13Fu per i peccati(7) dei suoi profeti, | per le iniquità(8) dei suoi sacerdoti,
                           che versarono in mezzo ad essa | il sangue dei giusti.
            Tau      22È completa la tua punizione, figlia di Sion, | egli non ti manderà più in esilio;
                           ma punirà la tua iniquità(9), figlia di Edom, | svelerà i tuoi peccati(10).
Lam 5             16 È caduta la corona dalla nostra testa. | Guai a noi, perché abbiamo peccato(11)!

            Le macerie in seguito a una distruzione portano tracce diverse secondo i tempi e le cause che le hanno prodotte: le crepe nei relitti di un terremoto; i tizzoni neri d’un incendio; i calcinacci d’un crollo; le schegge di una bomba e la voragine di un missile;… Quel pezzo di muro pencolante era la parete di una casa: ci stava una famiglia numerosa; la trave carbonizzata e quasi completamente incenerita era il colmo del tetto della chiesa del paese: la preghiera dei vecchi è morta con loro; quei frantumi taglienti sparsi dovunque erano i vetri delle finestre di una scuola: un bambino è rimasto sfregiato e ha perso un occhio; quel corpo sfigurato era una mamma che rientrava di corsa in casa per mettere in salvo il suo bambino: lui è scampato, è rimasto nella sua culla vivo e orfano; lei, sull’uscio, l’ha falciata una raffica della rappresaglia.

            Quello che non cambia mai, quale che sia la causa della catastrofe, e che anzi si ripete inesorabile e malinconico, è il lamento del sopravvissuto, come fosse una nenia; un uggiolare, che a volte esplode in un urlo roco per poi tornare ad essere una cantilena mugolata e assente; interrogativi che non hanno risposta: perché, perché,… quando non sia il silenzio stordito di chi ha perso tutto e, forse, tutti. L’occhio guarda e non vuol più vedere; il piede inciampa, incerto, il passo stanco e concitato insieme; ma bisogna andare, barcollare e allontanarsi senza meta: intanto hanno ripreso a suonare le sirene….

            Dopo si fanno i conti degli affetti perduti e i bilanci dei danni sofferti, mentre è ancora troppo presto per progettare un possibile sbocco futuro. In quei momenti può perfino nascere una tragica poesia, come un crisantemo posato su una tomba o la distesa dei papaveri fioriti sulla vastità d’una fossa comune; oppure si leva il canto di una voce solitaria che vuole solo ascoltarsi per sottrarsi all’angoscia del silenzio immanente, all’immensità del nulla: magari quella bassa di un esule lontano o quella squillante di un ragazzetto vicino, che ha imparato, suo malgrado, a vivere nella paura reale e tra le macerie dell’attacco.

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Note
(*) Sal 74,6
Testo masoretico        Testo della LXX                                        Neo Vulgata
(1) ḥḗṭe’ ḥāṭe’ā́h,          ἁμαρτίαν ἥμαρτεν,                                 peccatum peccavit,
(2) kŏl-pešā‘ā́y,            περὶ πάντων τῶν ἁμαρτημάτων μου,    propter omnes iniquitates meas,
(3) ‘al-ḥaṭā’ā́yw,          περὶ τῆς ἁμαρτίας αὐτοῦ,                       pro peccatis suis,
(4) pāšá‘nû,                  ἡμαρτήσαμεν,                                          inique egimus,
(5) ‘ăwṓn,                    ἀνομία,                                                     iniquitas,
(6) mēḥaṭṭá’th,            ὑπὲρ ἀνομίας,                                          peccato,
(7) mēḥaṭṭó’th,            ἐξ ἁμαρτιῶν,                                            propter peccata,
(8) ‘ăwōnṓth,               ἀδικιῶν,                                                     iniquitates,
(9) ‘ăwônḗkh,              ἀνομίας σου,                                             iniquitatem tuam,
(10) ḥaṭṭo’thā́yikh,       ἀσεβήματά σου,                                       peccata tua,
(11) ḥāṭā́’nû,                ἡμάρτομεν,                                                peccavimus,
Testo masoretico        Testo della LXX                                        Neo Vulgata
            ḥāṭā́’               ἥμαρτον                                                    peccavi
            ḥēṭe’                ἁμαρτία                                                     peccatum (exigens pœnam)
            ḥaṭṭá’th           ἁμαρτία                                                     peccatum
                                    ἀνομία (illegalità)                                     peccatum
                                    ἀσέβημα (misfatto)                                   peccatum
            ‘ăwōn              ἀνομία (illegalità)                                     iniquitas
                                    ἀδικία (ingiustizia)                                   iniquitas
            pāšá‘               ἡμάρτησα                                                 inique egi
            pèša‘               ἁμάρτημα                                                 iniquitas

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