TIZIANO VECELLIO, Adamo e Eva, 1565
Chi di gallina nasce, convien che razzoli.

Sapendo di addentrarci in un autentico ginepraio quando si parla di “peccato originale”, quest’argomento quasi appena lo sfioriamo di passaggio, per sottolineare ancora una volta soltanto un ulteriore problema sollevato dal genere: quello in cui ci si imbatte quando si ha da fare con i casi obliqui. Non pensiamo però di doverci dispensare dal ricordare che proprio sul genere del dativo greco del pronome relativo singolare si fonda essenzialmente il dogma del peccato originale e, senza entrare direttamente in argomento, ci sembra opportuno riportare due documenti decisivi in proposito.

Conc. ARAUSICANUM II, cœptum 3 Jul. 529:
Can. 2. Si quis soli Adæ prævaricationem suam, non et ejus propagini asserit nocuisse, aut certe mortem tantum corporis quæ pœna peccati est, non autem et peccatum, quod mors est animæ, per unum hominem in omne genus humanum transiisse testatur, injustitiam Deo dabit contradicens Apostolo dicenti: «Per unum hominem peccatum intravit in mundo, et per peccatum mors, et ita in omnes homines pertransiit, in quo omnes peccaverunt» [cf. Rm 5,12].

CONC. (ŒCUM. XIX) TRIDENTINUM 13 Dec. 1545 – 4 Dic. 1563
Sessio V, 17 Jun. 1546: Decretum de peccato originali:
2. «Si quis Adæ prævaricationem sibi soli et non ejus propagini asserit nocuisse», acceptam a Deo sanctitatem et justitiam, quam perdidit, sibi soli et non nobis etiam eum perdidisse; aut inquinatum illum per inobœdientiæ peccatum «mortem» et pœnas «corporis tantum in omne genus humanum transfudisse, non autem et peccatum, quod mors est animæ»: anathema sit, «cum contradicat Apostolo dicenti: “Per unum hominem peccatum intravit in mundum, et per peccatum mors, et ita in omnes homines mors pertransiit, in quo omnes peccaverunt” [Rm 5,12]».

Quando, da bambino – non proprio entusiasta della “dottrina” (così si chiamava il catechismo) subito dopo la Messa domenicale, tanto che, appena finita, io cercavo di svignarmela -, toccò al giovanissimo catechista di parlare del peccato originale, per fare un esempio gli venne in mente di tirare in ballo una serie di lampadine, con tanto di schizzo alla lavagna: se sene brucia una, si spengono tutte. Il mistero diventava ancora più misterioso: noi, nati durante la guerra, conoscevamo le candele e le colature di cera sul quaderno nei pomeriggi d’inverno; il lume a petrolio la sera a cena. Quando tornò la corrente (così s’è sempre chiamata la fornitura di energia elettrica domestica), si restava un po’ spaesati e non s’andava oltre l’esperienza della fioca luce rossastra d’una lampadina (la miseria!), che pareva “un brucio in una macchia”. L’albero di Natale, che avrebbe potuto dare un’idea di luci in serie, seguitava ad avere le candeline. Poi, quando ricominciarono le fabbriche, si sentiva anche dire che la corrente faceva girare i motori: come facesse, vallo a sapere; ma tanto, anche se qualcuno avesse conosciuto qualcosa delle correnti alternate, del campo magnetico e del principio di equivalenza di Ampère, e provato a dirne qualcosa, chi ci avrebbe capito nulla!

Si dette così il caso che quello, che avrebbe dovuto far un po’ di luce, fece ancor più buio, come succede di due lumi in interferenza stretta.
In seguito c’è stato un doveroso e generalizzato recupero e un discreto chiarimento sui motori e anche su qualcos’altro, ma non tale da salvare la sostanza di quell’improponibile paragone, perché la discendenza va soltanto in una direzione e non ritorna su se stessa, come invece fa quel bipolo passivo essenzialmente resistivo, che altro non è che la seria di lampadine.
Dopo questo curioso accostamento di dottrina certa ad un fattarello di minuta cronaca familiare, veniamo al sodo. Il versetto citato dai due documenti sopra ricordati, cioè Rm 5,12, in greco termina così:
Rm 5 12ἐφ’ ᾧ πάντες ἥμαρτον·(1)

In latino tutto il versetto è tradotto allo stesso modo nella Clementina (C) come nella Neovulgata (N), salvo, appunto, la parte finale:
(C) Propterea, sicut per unum hominem peccatum in hunc mundum intravit, et per peccatum mors, et ita in omnes homines mors pertransiit, in quo omnes peccaverunt.
(N) Propterea, sicut per unum hominem peccatum in hunc mundum intravit, et per peccatum mors, et ita in omnes homines mors pertransiit, eo quod omnes peccaverunt.

Per quanto riguarda la Clementina si nota subito che, in proposito, è pressoché uguale alla volgata dei tempi del Secondo Concilio di Orange ed è identica a quella in uso al tempo del Tridentino: ἐφ’ ᾧ tradotto “in quo” ha dunque una lunghissima storia. In questa versione la questione del genere, dal punto di vista grammaticale, rimane impregiudicata, potendo essere “quo” ablativo sia maschile, sia neutro; ma dal punto di vista interpretativo fu inteso come di genere maschile e riferito a Adamo. Per fare solo un esempio, in nota alla traduzione italiana di Felice Ramorino: “in quanto che tutti peccarono”, il Ricciotti commenta: “La Vulgata, più esplicitamente, [traduce] nel quale tutti peccarono(2).
La Neovulgata invece, traducendo “eo quod”, il dativo greco l’ha sentito di genere neutro, considerando ἐφ’ ᾧ come espressione contratta equivalente a ἐπὶ τοῦτο ὅτι(3) = propterea quod = poiché.
Successivamente si sono avute le traduzioni in italiano:
perché tutti hanno peccato. (CEI 1974)
poiché tutti hanno peccato…. (CEI 2008)
perché tutti hanno peccato. (Interconfessionale)

Per quanto tutte convengano con la Neovulgata (e, sostanzialmente, con quella del Ramorino), quella più aderente all’originale è l’ultima versione CEI, che evidenzia l’anacoluto, quasi un segno dell’affollarsi di diversi pensieri, tra loro concatenati e, talvolta, sovrapposti.

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Note
(1) Traslitterato: eph’hôi pántes hḗmarton; pronunciato: eph’hô pándhes
hī́marton.
(2) La Sacra Bibbia, Introd. e note di G. Ricciotti, Salani Editore, Firenze 1958
(3) Traslitterato e pronunciato: epì tûto hóti.

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