IL CONTRATTO           Україна

           

Geronta Sebezio è un fine imbroglione che ha un fraterno amico, tal Isidoro, sprovveduto e chiacchierone quanto basta; questa figura, che fa, bene o male, da spalla al suo benefattore, deve avere avuto un episodio di morte apparente. Il tempestivo e fortunato intervento di Gerenta, che esclama: «Che stai facendo? Qui sta il fratello tuo, Geronta Sebezio! Tu non sei morto! Alzati!», ottiene l’effetto e Isidoro, novello Lazzaro, si alza dal suo letto di morte. Geronta sostiene che è stato il suo grande e disinteressato amore, unito a quello degli amici presenti, che ha fatto rivivere Isidoro e quindi ha deciso di mettersi al servizio di coloro che, amando senza limiti i loro parenti defunti, si affidano a lui che, convogliando il loro amore verso il morto, lo farà risuscitare.

            Il contratto è una commedia di Eduardo De Filippo, andata in scena a La Fenice di Venezia il 12 ottobre 1967. Geronta, un uomo alto, magro, di 55 anni, è il personaggio principale.
            Nel documento contrattuale è scritto che niente è dovuto a Geronta, il quale assicura la risurrezione se l’aspirante alla nuova vita (che deve essere ricco, anche se questo non è riportato nel contratto), s’impegna ad amare in vita tutti i suoi parenti, dai più vicini ai più lontani, specialmente quelli che gli sono stati odiosi e nemici; egli dovrà assisterli ed aiutarli chiamandoli presso di sé. Inoltre egli dovrà lasciare un testamento dove è previsto che tutte le sue proprietà, nessuna esclusa, dovranno essere equamente divise tra la sua famiglia e i suoi parenti. L’aspirante alla risurrezione così continuerà ad essere amato anche dopo la morte e si formerà allora quella catena d’amore che, come per Isidoro, che era amato da tutti, ha permesso il suo richiamo in vita.

            In realtà Geronta ci farà dei bei guadagni, senza che nessuno risusciti e senza compromettere la sua buona fama: tutto sta nel fatto la catena d’amore non si formerà mai per i diversi e contrapposti interessi dei singoli, chiamiamoli, anelli, giacché di catena si parla.

            Per dire: nel secondo atto della commedia ci troviamo in casa del fu Gaetano Trocina, morto da poco; soste fuori il contratto che il defunto aveva sottoscritto con Geronta, il quale viene prontamente convocato dai familiari e lì comincia il dramma. Senza entrare in troppi dettagli, vengono presto a galla i rancori nutriti dai familiari, che mangiano e bevono senza nessun interesse che il morto riviva; solo che hanno scoperto che una grossa parte dell’eredità era stata a suo tempo destinata a un certo Giacomino, un lontano e avido cugino che, al momento della sottoscrizione del contratto con Geronta, Gaetano si era impegnato a beneficare e a ricordare appunto nel testamento, proprio perché godeva delle caratteristiche essenziali: lontano parente e, in precedenza, cordialmente odiato. Se il morto risuscita, Giacomino ci rimette l’eredità, e non c’è da aggiungere altro. I familiari poi sono contrastati tra risentimenti, opportunismi e convenienze diverse: tra l’altro, Palmira, la figlia di Gaetano, ha fatto la “schifezza”, è rimasta incinta e se il morto resta in bara, si deve mettere a lutto, non può sposare e, intanto cresce la pancia e il chiacchiericcio malevolo della gente. Quest’ultima circostanza, unita alla speranza della stipula di un nuovo testamento che, tanto per cominciare, escluda Giacomino, può anche indurre ad accettare l’eventuale risurrezione del caro estinto: fino a un certo punto….

            Come era da aspettarsi, la catena d’amore non si realizza e il morto resta in bara. Si apre la successione. Giacomino, beneficiario di una consistente parte dell’eredità, è però di fatto destinato a  rimanere quasi del tutto privato della sua parte per via della relativa tassa da pagare, che grava molto sui parenti alla lontana del de cujus. In ogni caso, poco che gli tocchi, se insisterà comunque nel pretendere la parte spettantegli, dovrà affrontare per vie legali l’impugnazione dei parenti più prossimi, e andare incontro ai lunghissimi tempi delle cause civili; il saggio e disinteressato Geronta ammonisce: «Si rimanda, si rimanda,… rinvii, appelli, contrappelli, Cassazione,… passano decine e decine di anni, pure cinquanta, sessanta, ottanta,… quando finalmente la causa va in decisione e l’hai perduta, perché la perdi, le spese di giudizio sono arrivate a cifre astronomiche, ti trovi nell’impossibilità di pagarle e finisci in galera».

            Nel patrimonio ereditario ci sono dei buoni del Tesoro, che non sono tassabili, che per “contratto” devono sempre esserci insieme a tutto il resto, e che andranno a quell’erede che rinuncerà al lascito testamentario a lui assegnato. Giocando abilmente su questi titoli, Giacomino rinunciatario avrà concretamente un vantaggio, la famiglia recupera la totalità del patrimonio restante e Geronta riesce a ricavarci una sua lauta porzione: quando si dice il disinteresse!

            Una profonda riflessione esistenziale porta  Geronta a sentenziare che un uomo senza denaro è come fosse morto e, dunque, lo spiantato Giacomino è come se fosse risorto. Nella foto ricordo Giacomino eviterà i “come se”; scriverà senz’altro: «A mio fratello Geronta che mi ha resuscitato». L’inganno può continuare e, per un po’ ancora, continua la commedia.

            Noi ci fermiamo qui. Non intendiamo prestare all’Autore le nostre conclusioni e nemmeno pretendere che siano in qualche misura logicamente deducibili dalla sua opera; però ci pare di poter dire che se l’amore vero non sempre è capace di risuscitare, la mancanza di amore, l’odio, uccide sempre. Perché, a ben guardare, qualche volta amare (φιλεῖν) con l’amore vero, quello che ti piglia dentro e diventa uno “spasimo viscerale” – quello per cui uno, per dirla col greco dei Vangeli sinottici, più o meno un po’ sempre σπλαγχνίζεται (sente un spasimo viscerale) o, almeno quella volta, in quel caso, ἐσπλαγχνίσθη (ha sentito uno spasimo viscerale)–, va a finire che fa anche il miracolo:

            In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei (ἐσπλαγχνίσθη ἐπ’ αὐτῇ) e le disse: «Non piangere (Μὴ κλαῖε)!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati (Νεανίσκε, σοὶ λέγω, ἐγέρθητι)!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre(1).

            Gesù scoppiò in pianto (ἐδάκρυσεν). Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava (Ἴδε πῶς ἐφίλει αὐτόν)!»…. Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente (πάλιν ἐμβριμώμενος ἐν ἑαυτῷ), si recò al sepolcro…. gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori (Λάζαρε, δεῦρο ἔξω)!».
Il morto uscì (ἐξῆλθεν ὁ τεθνηκὼς),…(2)

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NOTE
(1) Lc 7,11-15.
(2) Gv 11,35-36.38a.43b-44a

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