“… il suono della campana, come…. la voce di Dio(1)”.

            La chiesa del Pignone, subito fuori porta san Frediano, per quanto ad un passo dalla città vera e propria d’una volta, (borgo san Frediano aveva ed ha tutti i requisiti, in bene o in male, per essere a buon diritto un rione di Firenze), era strutturata come tante altre chiese di campagna o di paese: a capanna e ad una sola navata; alle pareti laterali quattro altarini, ridotti in seguito a due per la rimozione delle mense, conservando però le ancone. L’Arno,  – che ha sempre fatto quel che gli è parso, compreso straripare -, nel 1966 fu aiutato nella sua furia da certe dighe improvvidamente manovrate per dar luogo all’ultima alluvione del 4 novembre; col Cristo di Cimabue furono tanti i danni irreparabili, senza contare che quelli rimediabili vollero tanta fatica e tanto impegno e qualcuno ci morì.

            Anche Santa Maria assunta in cielo al Pignone ebbe la sua, ma il peggio venne dopo, al momento dell’improvvido restauro. I campanili è più facile che si salvino; si salvò anche quello di via Felice Cavallotti (personaggio politico del 1800, ma anche poeta – e di strade dedicate ai poeti in zona ce ne sono -, di cui non risulta che i fiorentini sapessero e sappiano un granché, come, in generale e salvo momenti caldi, non si son mai curati del perché quella sia via Tizio, via Caio o via Sempronio: chissà se altrove le cose vanno diversamente,…); col campanile anche le quattro campane rimasero al loro posto.

            Facevano parte della vita ordinaria e straordinaria: la grande suonava l’Ave Maria tre volte al giorno, – meno quando devono essere “legate” durante il triduo sacro -; scandiva le ventitré, un’ora prima del tramonto e dell’Ave della sera (e allora si recitava il Credo per i moribondi); poi l’or di notte, un’ora dopo l’Ave della sera, quando si diceva il De Profundis per i morti. Le ultime due suonavano il cenno e il cennino, rispettivamente un quarto d’ora e cinque minuti (e anche meno) prima che entrasse la Messa o cominciasse il Vespro.

            La seconda, in ordine decrescente di dimensioni, era la campana da morto; suonava a martello, da sola o a rintocchi successivi insieme alle altre, durante i funerali e subito dopo mezzogiorno, per avvertire che nel pomeriggio ci sarebbe stato appunto un funerale: tre volte per un uomo e due per una donna. Mezzora prima della Messa o del Vespro c’era il “doppio”: cominciava la campana del cennino, poco dopo entrava quella del cenno, poi, a distesa, la campana da morto e, ultima, la grossa.

            Ma il bello era il “festeggio”, quando ai piedi delle corde c’era il fiasco del vino. Toccava in certe feste solenni, per la processione dell’ultimo di maggio e, ogni cinque anni, per quella locale del Corpus Domini. Toccava invariabilmente ogni anno a partire da mezzogiorno della vigilia dell’Assunta. Suonava il cennino per qualche minuto e si fermava; subentrava il cenno, anche quello per qualche minuto, e si fermava; lo stesso la terza campana e poi la grande; quindi si ripeteva il giro altre due volte; dopo entrava il doppio, che poteva durare quanto gli uomini alle corde volevano e, magari finché il fiasco non era vuoto. Con un po’ di altra buona volontà e con un fiasco supplementare, si poteva ripetere da capo tutta la giostra.

            Ci siamo lasciati andare dietro a tutti questi particolari, perché, come il lettore accorto si sarà subito reso conto, chi scrive al Pignone c’è nato e c’è vissuto diverso tempo fa. Però non è questo il principale motivo. Il fatto è che se salta in testa il grillo di provare a calarsi nella Firenze dei tempi di Dante, non ci saranno certamente paragoni plausibili con il nostro mondo di oggi e neanche, a rigore, con quello di ieri; però il mondo di ieri contava le ore con la luce del sole e questo accadeva anche nel 1300, all’epoca di Dante; le campane, ieri e a quei tempi, erano il modo per avvisare la gente di quel che doveva capitare e per mettere in allarme, quando succedeva quello che non avrebbe mai dovuto capitare. Le campane invitavano alla preghiera: ci si fermava un attimo, qualcuno tirava fuori la pezzola per asciugarsi il sudore; un’altra, giovane, tirava giù la cocca del grembiule, riassettandosi un po’, e accennava a dare un tocco per aggiustarsi i capelli; una mamma cercava di far stare fermo un bambino grandicello, tenendone un altro, più piccolo, in collo, addormentato sulla spalla;… questo e tanto altro di quell’ieri, – spazzato via da una guerra tragicamente nuova, capace di oscurare il sole e atomizzare la gente e le cose, seguita da una pace fatta di minacce, di discutibili compromessi e mai veramente in atto -, poteva accadere anche in quel lontano Medio Evo.
(continua)

Note
(1) Giovannino Guareschi, Don Camillo monsignore,… ma non troppo, 1961

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