Bartolomé Esteban Murillo, Guarigione del paralitico alla piscina probatica, circa 1670

Erat autem quidam homo ibi triginta et octo annos habens in infirmitate sua

            Torniamo ancora una volta sul brano iniziale del V capitolo del vangelo di Giovanni, per considerare un altro aspetto formale: come già detto, la pericope è stata scelta non per la sua valenza teologica, ma come un esempio che, nella sua relativa brevità, presenta diverse problematiche testuali, che a loro volta si riflettono, più o meno direttamente, nelle traduzioni.

            Una corrente di pensiero, – decisamente assai più seguita nel passato e oggi praticamente abbandonata –, propendeva per cogliere, si può dire, in ogni parola della Scrittura un significato recondito, mistico, allusivo, magari anche prima e oltre il senso letterale immediato. In questo modo ogni singola parola diventa essenziale e insostituibile, mentre rimanda necessariamente al problema – già accennato – dell’ispirazione. Naturalmente, se un singolo vocabolo non presenta incertezze o varianti, la strada sembrerebbe tutta piana per un verso, ma proprio la ovvietà di lettura di quel termine provocherà in quell’ottica una più impegnativa ricerca del significato recondito, non potendosi ammettere che la Scrittura contenga elementi quasi banali.

            Il lettore, informato di questo modo di intendere il testo biblico, sentirà l’obbligo di procedere in punta di piedi nella lectio divina e troverà indispensabile far frequentemente ricorso ad opportuni e specializzati commentari. Ora, certamente non tutto sarà di immediata e facile comprensione e ci vorrà l’umiltà e l’onestà intellettuale di avvalersi di idonei contributi esplicativi; ma non si potrà neppure relegare il testo sacro nella ristretta cerchia degli studiosi, di fatto sottraendolo all’immediatezza di quei “piccoli”, che sono i più, e ai quali il messaggio, e specialmente quello evangelico, è preferenzialmente rivolto.

            Una particolare attenzione veniva riservata all’interpretazione mistica dei numeri contenuti o desumibili dal testo sacro. Per quanto riguarda il Vecchio Testamento, redatto in ebraico, c’era e c’è una lettura cabalistica, fondata sull’analisi del valore numerico corrispondente ad ogni consonante dell’alfabeto. Un caso celebre, che qui di seguito riportiamo, è quello dei 72 Nomi di Dio. Nel capitolo XIV del libro dell’Esodo si legge, a proposito del momento culminante del passaggio del Mar Rosso:

            Es 14 19L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. 20Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte. 21Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero.

            Nel testo ebraico questi tre versetti sono costituiti da 72 consonanti ciascuno, fatto piuttosto singolare; da quelli si originano i “72 Nomi”, secondo la regola di formare 72 triadi composte dalla 1a consonante del 1° versetto (W), dalla 72a del 2° (H) e dalla 1a del 3° (W): WHW; poi dalla 2a del 1° (Y), dalla 71a del 2° (L) e dalla 2a del 3° (Y): YLY; seguitando fino all’ultima triade composta dalla 72a consonante del 1° versetto (M), dalla 1a del 2° (W) e dalla 72a del terzo (M): MWM.

            Il Nuovo Testamento, scritto in greco, non si presta alle regole e ai metodi della Cabala, ma può sempre intervenire un’interpretazione mistica quando un valore numerico sia esplicitamente menzionato nel testo, come, ad esempio nel V di Giovanni:

2A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina…, con cinque portici,…
5Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato.

            Dopo essere stati edotti che i cinque portici della piscina probatica, indipendentemente dalla descrizione architettonica, stanno a simboleggiare “i cinque quinti della Legge”, o, come più comunemente si dice, il Pentateuco; dopo un’attenta analisi delle occorrenze bibliche del numero “40”, – su cui neppure un attimo ci soffermiamo per la sua più che ampia notorietà, bastandoci soltanto ricordare il tempo di permanenza di Mosè sul Sinai e la durata del cammino di Elia verso l’Oreb –; dopo un’altrettanto corredata ripresentazione del valore del numero “2”, nel quale, compendiandosi in un tutt’uno il comandamento dell’amore di Dio e quello dell’amore verso il prossimo, c’è la piena realizzazione della Legge e dei Profeti; stando infine inoppugnabilmente che “38 = 40 – 2”, Sant’Agostino giunge alla conclusione, per cui aveva pregato(1):
            «Si ergo quadragenarius numerus habet perfectionem legis et lex non impletur nisi in gemino præcepto caritatis, quid miraris quia languebat qui ad quadraginta duo minus habebat?(2)».

            Nella collana NVB, una nota di Giuseppe Segalla recita: «I trentotto anni non hanno carattere simbolico…, ma sono un particolare che vuol mettere in risalto la grandezza del miracolo(3)».
            Un approccio come quello numerologico ha bisogno di un testo base irriformabile, ci costruisce sopra fino a schiacciarlo, e la siepe ingombrante, per così dire, predomina e nasconde il giardino.

Note
(1) S. Aurelii Augustini, In Joannis Evangelium Tractatus XVII, 4 in corpore:
«Aderit Dominus, ut congrue loquar, et sufficienter audiatis».
(Ci assisterà il Signore, perché io mi esprima un modo adatto e voi ascoltiate esaurientemente.)
(2) o. c., 6 in fine: Ora, se il numero quaranta significa la perfezione della legge e la legge non si compie se non nel duplice precetto dell’amore, perché ti meravigli che fosse ammalato uno che aveva due meno di quaranta?
(3) (NVB) Nuovissima Versione della Bibbia, Edizioni Paoline, Vol. 36 (GIOVANNI, versione, introduzione e note di Giuseppe Segalla), pag. 209 in nota.

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