San Francesco, – di cui prendiamo qualche espressione a conclusione di queste estemporanee divagazioni sul Sole -, è uomo che ha percorso un doloroso, anche se non lunghissimo, cammino di sofferenza propria e di profonda amarezza nel costatare e condividere quella altrui; ha saputo cambiare sostanzialmente la valutazione del presente e ricomporre le prospettive per il futuro; si è innamorato del semplice e del bello; non ha escluso nessuno e a nessuno ha precluso comprensione e aiuto.
            Quasi al termine della sua vita, a un passo dal suo Transito, nel suo Testamento afferma decisamente che l’Altissimo ha operato in lui il più grande e radicale cambiamento, quello alla base e a fondamento di tutto il resto, chiave di lettura dei fatti e di interpretazione dei pensieri: “3bciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo”.
            Tutto il Cantico di frate Sole è la contemplazione di un mondo redento, come deve essere e come, in fondo, realmente è, se ci si affida filialmente all’“Altissimu, onnipotente, (soprattutto) bon Signore”; è il mondo guardato con dolcezza e che regala dolcezza a sua volta, riscattato dalla Morte e ingentilito dal perdono.
            In particolare, sempre e soltanto con riferimento al Sole, san Francesco, giusto in questo suo Cantico, giunge ad una sintesi piena, graziosa e nuova, toccando altezze inarrivabili. Intanto il testo:

            “3Laudato sie, mi’ Signore, cum tutte le Tue creature,
                spezialmente messor lo frate Sole,
                lo qual è iorno et allumini noi per lui.
            4Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
                de Te, Altissimo, porta significazione”.

            Osserviamo: la nobiltà del Sole lo colloca alla pari, se non addirittura al disopra, del Papa e dell’Imperatore, in virtù del suo essere “messere”; una nobiltà anche più grande, perché è nativa, non elettiva, e non conosce successione, perché è perpetua. Il Sole è il mezzo, “la lampada” accesa da Dio allo scopo di illuminarci. Per mezzo di lui, insieme e prima di tutte le creature, si innalza la lode perenne al Signore. Il suo raggio è capace di penetrare ovunque non gli venga frapposto ostacolo (nel caso, rimane illuminato l’ostacolo stesso) e il suo splendore, inguardabile a occhio nudo, rimanda alla luce inaccessibile dove è la dimora di Dio. Soprattutto è “bellu”, con quella pienezza di accezione insita nel bello, di cui si disse già qualcosa a proposito delle stelle. Così il Sole come ci appare, ad extra, verrebbe da dire.
            In sé e per sé, ad intra, come ogni altra creatura, il Sole è sostanzialmente “frate”, fratello: e qui il binomio “messor” e “frate”, apparentemente antinomico si apre alla mistica, alla poesia dell’indicibile, che pare abbassare il grande per innalzare il piccolo, il quale cresce mentre quello non sminuisce; evoca il Magnificat e il mistero dell’Incarnazione, la superiore sapienza divina.
            Ma quello forse che più colpisce, proprio perché assolutamente originale, è l’istantanea, se si può dire, che coglie nel Sole non tanto il sovrano regolatore del giorno, bensì come un tutt’uno con il giorno stesso: il Sole è il giorno; se c’è il Sole è giorno, se è giorno c’è il Sole; ma il Sole c’è sempre e allora, senza azzardare riduttive ipotesi cosmologiche o pretese cognizioni geografiche,… da qualche parte c’è sempre il giorno, la grande lampada accesa. (fine)

Note

Nella foto: Cristo Pantocratore, 1143. Palermo, Cappella Palatina, mosaico della cupola; particolare. Nella corona circolare, dall’alto in senso orario, la scritta in maiuscolo bizantino:
ὉΟỶΡΑΝÓСΜΟΙΘΡÓΝΟСἩΔÈΓĤὙΠΟΠÓΔΙΟΝΤῶNΠOΔῶΝΜΟΥΛÉΓΕΙΚÝΡΙΟСΠΑΝΤΟΚΡÁΤωΡ
LXX e versione latina letterale:
Ὁ οὐρανός μοι θρόνος, ἡ δὲ γῆ ὑποπόδιον τῶν ποδῶν μου · (Is 66,1)
λέγει κύριος παντοκράτωρ.
«Cælum mihi thronus, terra autem suppedaneum pedum meorum.», dicit Dominus omnipotens.
Nova Vulgata:
«Cælum thronus meus, terra autem scabellum pedum meorum.», dicit Dominus omnipotens.
CEI:
«Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi.», dice il Signore onnipotente.
N. B.: Παντοκράτωρ, Omnipotens, Onnipotente è l’ordinaria rispettiva traduzione dell’ebraico Šaddáy, nome divino dal significato tuttora incerto.

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