C’eravamo proposti di non perdere di vista il bello naturale e belle appunto, – lo scrivevamo non molto tempo fa -, sono le stelle. Il sole poi, per il nostro angolo di universo, è una stella più che bella, se si può dire: raggiante e splendido, sempre nuovo e identico a se stesso, è il sovrano orologio che scandisce il tempo e spande sulla terra qualcosa della maestà dei cieli. Tanto più desiderato la notte, quanto più questa sembra essere lunga, specialmente quando è fatta di sofferenza e di angoscia; talvolta anche, in pieno giorno, il suo può diventare un fulgore temuto per la certezza dello scoccare di quell’ultima unica ora di visione, sempre paurosa e troppo vicina, prima del buio completo della morte.

            Cominciamo dal primo capitolo della Genesi:

            “14Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni 15e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne. 16E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore (hammā’ôr haggādhól = la lampada quella grande) per governare il giorno e la fonte di luce minore (hammā’ôr haqqāṭón = la lampada quella piccola) per governare la notte, e le stelle. 17Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra 18e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona. 19E fu sera e fu mattina: quarto giorno” (Gn 1).

            Come ognun s’avvede, il Sole e la Luna non sono chiamati per nome; sono introdotti nel quarto giorno dell’opera della creazione, senza alcun accenno di ammirazione o di stupore; non come realtà a sé stanti, ma piuttosto come elementi funzionali (“lampade”, appunto, una grande e piccola l’altra non in base alle loro apparenti dimensioni, ma in ragione dell’intensità luminosa percepita), con il compito di scandire il tempo nella sua ordinaria quotidianità e nella sua sacralità cultuale: celebrare le feste e, in particolare, ricordare (Esodo 20,8) e osservare (Deuteronomio 5,12) il sabato. A parte la creazione del firmamento – o cielo, che dir si voglia, opera del secondo giorno e a proposito del quale nulla di più è detto -, anche le “lampade” e le stelle sono “cosa buona”, al pari di tutto ciò che Dio ha voluto portare “a compimento”.

            Un po’ più avanti, sempre nel libro della Genesi è dato leggere la storia di Giuseppe, undicesimo figlio di Giacobbe e il primo natogli da Rachele. Tralasciando tutto il resto, – la storia di Giuseppe occupa quasi per intero gli ultimi quattordici capitoli della Genesi -, ci fermiamo sul seguente versetto:

            “9Egli (Giuseppe) fece ancora un altro sogno e lo narrò ai fratelli e disse: «Ho fatto ancora un sogno, sentite: il sole, la luna (hašèmeš wehayyārḗaḥ) e undici stelle si prostravano davanti a me»” (Gn 37).

            Il Sole e la Luna questa volta sono nominati a coppia, come spesso accade; vengono chiamati con il loro nome e sono collocati all’interno di un sogno: non sono loro il principale oggetto della visione, che è piuttosto costituito dal sognatore stesso, ma cominciano ad esulare dalla percezione meramente utilitaristica e lasciano presentire un nuovo approccio estetico.

            La Bibbia dei Settanta, nel libro di Daniele, riporta una lunga preghiera: il Cantico dei tre giovani nella fornace. Da lì, per il nostro intento, prendiamo i due versetti seguenti:

                        “62Benedite, sole e luna, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
                        63Benedite, stelle del cielo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli” (Dn 3).

            In questo inno di benedizione, di andamento litanico, l’enumerazione delle creature e dei loro aspetti ha lo scopo di far risaltare la grandezza del Signore, autore dell’esistente e dei suoi mutevoli adattamenti, e di porre tutto e tutti in atto devoto di pia riconoscenza nei suoi confronti. Le cose e il loro modo di apparire sono ancora fondamentalmente percepiti come un mezzo orientato ad introdurre la lode finale, – meravigliata, per essere scampati da una morte certa e violenta -, anche se alcuni accostamenti, per somiglianza o per contrapposizione, presentano un qualche vago afflato lirico.

(continua)

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