Arcobaleno, “L’arco sarà sulle nubi,…”(1)
“Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò” (2)

            Di Età o Ere del mondo, con criteri assai diversi, si occupò anche Sant’Agostino nel suo De catechizandis rudibus, con una prospettiva decisamente aperta al futuro e ad un futuro beatificante ed eterno. Un’eventuale sesta Età, (che Esiodo non si azzardava a preconizzare, augurandosi però che, se proprio era detto che lui dovesse nascere e campare per un po’, sarebbe stato meglio che gli fosse successo qualche tempo dopo l’Età del ferro), per Agostino è una realtà in atto ed è la nostra epoca, dall’avvento di Cristo fino alla fine del mondo.

            Possiamo intanto stilare un elenco a partire dalla cronologia stabilita da Eusebio di Cesarea, che è quella seguita dal Martirologi romano nell’Elogium in Nativitate Domini, ininterrottamente dal 1584 – anno della correzione gregoriana e della sua prima edizione –, e rimasto in vigore, con successive parziali modifiche e integrazioni riguardanti gli “elogi”, fino al 29 giugno 2001, quando è stata pubblicata la nuova edizione, redatta a norma della Costituzione del Concilio Ecumenico Vaticano II sulla sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium”. (A questa nuova edizione, col passare del tempo, sono già state fatte alcune aggiunte e continuamente se ne dovranno fare, ciò che però non tocca, ovviamente, la struttura del nuovo Elogium del 25 dicembre).

            Lo schema secondo Agostino si può così riassumere:

                        Prima Età: dalla creazione di Adamo (5199 a. C.)
                                                                                              al Diluvio (Noè – 2957 a. C.(3));
                                    (il tempo sarebbe stato sospeso durante il diluvio)
                        Seconda Età: dal Diluvio (2957 a. C.)
                                                                                              al tempo di Abrahamo (2015 a. C.);
                        Terza Età: dal tempo di Abramo (2015 a. C.)
                                                                                              a quello del re Davide 1032 a. C.);
                        Quarta Età: dal tempo del re Davide (1032 a. C.)
                                                                                              fino all’esilio babilonese (586 a. C.);
                        Quinta Età: dall’Esilio a Babilonia (586 a. C.)
                                                                                              al tempo di Gesù Cristo;
                        Sesta Età: inizia al tempo di Gesù Cristo
                                    (a partire dalla Natività, o anche dal 33, tradizionale anno della Risurrezione e
                                   della nascita della Chiesa).

            Questa divisione è concepita dal suo Autore come un parallelo dello snodarsi delle diverse epoche, con i sei giorni operativi della Creazione (sorvolando sull’altro parallelismo istituito con le successive fasi della vita dell’uomo). Il settimo giorno, quello dello Shabbat, deve quindi avere un suo corrispondente in una Settima Età, che avrà luogo dopo il Giorno del Giudizio e la fine dei tempi. Infatti, Agostino scrive che Dio “avrebbe consacrato la settima [età] al riposo con i suoi santi, poiché vi era già stata una consacrazione il settimo giorno [della Creazione]”.

            Si fa notare che, a partire dalla Terza Età compresa, viene seguita da Agostino la suddivisione contenuta nel Vangelo secondo Matteo quanto alle tre serie di generazioni che scandiscono la genealogia di “Gesù, chiamato Cristo”, prese come momenti individuanti altrettante Età, cioè la Terza appunto e poi la Quarta e la Quinta. La Sesta è l’Età “reparatæ salutis”; la Settima sarà quella escatologica dei “nuovi cieli e una terra nuova(4).

            Su quel qualcosa in più che ci sembra bene di aggiungere a proposito della “kalenda di Natale”, come era ed è contenuta nel Martirologio romano, torneremo in seguito, provando a offrire una narrazione integrata e comparata.

(7. continua)

__________

Note

(1) Gn 9,16
(2) Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, – wayevā́rekh ’ĕlōhî́m ’eth-yốm hašševî‘î́ wayeqaddḗš ’ōthố, – καὶ ηὐλόγησεν ὁ θεὸς τὴν ἡμέραν τὴν ἑβδόμην καὶ ἡγίασεν αὐτήν, – Et benedixit Deus diei septimo et sanctificavit illum, – (Gn 2,3a)
(3) Anche Esiodo scrive in versi sulla tragedia del diluvio, con notevoli differenze rispetto alla narrazione biblica. Per l’antico poeta l’evento si colloca fra la terza e la quarta Età del mondo; qui di seguito ne riportiamo qualcosa, attingendo dalla scorrevole prosa di Igino Astronomo:
            «Cataclysmus, quod nos diluvium vel irrigationem dicimus, cum factum est, omne genus humanum interiit præter Deucalionem et Pyrrham, qui in montem Ætnam, qui altissimus in Sicilia esse dicitur, fugerunt. Hi propter solitudinem cum vivere non possent, petierunt ab Jove, ut aut homines daret aut eos pari calamitate afficeret. Tum Jovis jussit eos lapides(*) post se jactare; quos Deucalion jactavit, viros esse jussit, quos Pyrrha, mulieres. Ob eam rem laos (λᾱός) dictus, laas (λᾶας) enim Græce lapis dicitur».
(Igino Astronomo, Fabulæ, 153)
            [Quando avvenne quel cataclisma, che noi chiamiamo diluvio o inondazione, tutto il genere umano perì, ad eccezione di Deucalione e Pirra, fuggiti sul monte Etna, noto come il più alto della Sicilia. Costoro, non sentendosela di vivere da soli, chiesero a Giove che desse loro degli uomini oppure di essere colpiti come gli altri dalla stessa calamità. Allora Giove comandò loro di gettare dei sassi dietro le spalle; quelli gettati da Deucalione volle che fossero uomini e donne quelli gettati da Pirra. Perciò si parlò di laόs (popolo), poiché in Greco sasso si dice “lâas”].
(*)         Lo Pseudo-Apollodoro scrive: “ὅθεν καὶ λαοὶ μεταφορικῶς ὠνομάσθησαν ἀπὸ τοῦ λᾶας ὁ λίθος.”; [È da allora che i popoli (laoí) hanno preso per metafora il loro nome da quello che indica la pietra: “lâas”].Al medesimo gioco etimologico – ma con un significato etico più ampio – allude anche Ovidio (Metamorfosi, I, 414-415), nel commentare l’origine dell’umanità da quelle pietre gettate da Deucalione e Pirra:
                        Inde genus durum sumus experiensque laborum
                        et documenta damus qua simus origine nati.
(Perciò siamo gente dura e tollerante delle fatiche | e documentiamo da quale origine siamo nati).
            In tutt’altro contesto religioso e culturale si legge nel Vangelo secondo Luca:

Lc 3 7Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre (de lapidibus istis – ἐκ τῶν λίθων τούτων) Dio può suscitare figli ad Abramo. 9Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».
(4) Is 65,17; 66,22; 2Pt 3,13; Ap 21,1

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