RELIGIO INSTRUMENTUM REGNI(*)

JEAN HONORÉ FRAGONARD, Geroboamo sacrifica agli idoli

Questi i tuoi dèi, Israele, coloro che ti hanno fatto uscire dalla terra d’Egitto.

​La traduzione italiana ufficiale per l’uso liturgico dei versetti Es 32,4.8, verso la fine, quella che abbiamo precedentemente impiegata, va osservato che è interpretativa, non letterale. Letteralmente, infatti, si ha:
​​“Questi i tuoi dèi, Israele, coloro che ti hanno fatto uscire dalla terra d’Egitto”;
questo è appunto il tenore dei rispettivi testi masoretici, che si corrispondono identicamente; questo è anche quanto riporta il greco dei LXX:
​​“Οὗτοι οἱ θεοί σου, Ισραηλ, οἵτινες ἀνεβίβασάν σε ἐκ γῆς Αἰγύπτου.”;
infine, pure la Neo Vulgata, al pari della Clementina, ha il plurale:
​​“Hi (Isti) sunt dii tui, Israel, qui te eduxerunt de terra Ægypti!”.

​Evidentemente, si può stare alla lettera del testo così come suona – e in contrasto aperto internamente allo stesso rispettivo versetto, che parla di “un vitello di metallo fuso (‘ḗghelmassēkhāh, vitulum conflatilem,)” -, facendo appello alla composita e un po’ confusa situazione redazionale del testo, come anche meglio risulta, se si tiene conto della seconda parte di questo capitolo dell’Esodo.

​Si può però anche far riferimento al brano qui subito sotto, in cui si parla di due vitelli e si potrebbe ipotizzare che quest’ultima fosse la fonte da cui è stato attinto, retrodatandolo ai tempi dell’esodo, verso il 1250 a. C., un accadimento del 930 circa a. C., in modo che Geroboamo, primo re del nord secessionista, non sia tanto l’autore, ma solo un lontano erede contagiato dal male antico di una ricorrente idolatria, mai completamente estirpata. In questa ipotesi, accanto ad intenti di chiara portata politica, verrebbe perseguita la teoria di una tara religiosa atavica, atta a spiegare il peccaminoso presente e a pronosticare un altrettanto fosco avvenire. Il brano:

​«26Geroboamo pensò: “In questa situazione il regno potrà tornare alla casa di Davide. 27Se questo popolo continuerà a salire a Gerusalemme per compiervi sacrifici nel tempio del Signore, il cuore di questo popolo si rivolgerà verso il suo signore, verso Roboamo, re di Giuda; mi uccideranno e ritorneranno da Roboamo, re di Giuda”. 28Consigliatosi, il re preparò due vitelli d’oro e disse al popolo: “Siete già saliti troppe volte a Gerusalemme! Ecco, Israele, i tuoi dèi che ti hanno fatto salire dalla terra d’Egitto”. 29Ne collocò uno a Betel e l’altro lo mise a Dan. 30Questo fatto portò al peccato; il popolo, infatti, andava sino a Dan per prostrarsi davanti a uno di quelli». (1Re 12)

​Il finale del versetto 28 letteralmente suona quasi identico ai due dell’Esodo sopra richiamati:
​​“Questi i tuoi dèi, Israele, coloro che ti hanno fatto uscire dalla terra d’Egitto.”,
e costituisce il punto di forza a sostegno dell’ipotesi che vede l’archetipo prodotto per duplicazione retrodatata.

​Al termine della prima parte di questo capitolo dell’Esodo, come ci è sembrato naturale suddividerlo, c’è un perdono accordato, che lascia aperta una prospettiva futura, fatta di speranza e di attesa: il viaggio è ancora tutto da compiere e il traguardo lontano; se ci saranno mormorazioni, insubordinazioni e anche sommosse è lecito confidare nell’intercessione di Mosè e nella pazienza divina.

​Ben diverso è il tenore del seguito. Intanto di un solo vitello d’oro si parla nella seconda parte di questo capitolo 32 dell’Esodo; lo riportiamo qui di seguito, senza ulteriormente insistere sulle difficoltà strutturali e redazionali di questo testo, nonché sulla sua asprezza.

​«15Mosè si voltò e scese dal monte con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. 16Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole.
17Giosuè sentì il rumore del popolo che urlava e disse a Mosè: “C’è rumore di battaglia nell’accampamento”. 18Ma rispose Mosè:
​​“Non è il grido di chi canta: Vittoria!.
​​Non è il grido di chi canta: Disfatta!.
​​Il grido di chi canta a due cori io sento”.
19Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l’ira di Mosè si accese: egli scagliò dalle mani le tavole, spezzandole ai piedi della montagna. 20Poi afferrò il vitello che avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell’acqua e la fece bere agli Israeliti.

21Mosè disse ad Aronne: “Che cosa ti ha fatto questo popolo, perché tu l’abbia gravato di un peccato così grande?”. 22Aronne rispose: “Non si accenda l’ira del mio signore; tu stesso sai che questo popolo è incline al male. 23Mi dissero: Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto24Allora io dissi: Chi ha dell’oro? Toglietevelo!. Essi me lo hanno dato; io l’ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello”. 25Mosè vide che il popolo non aveva più freno, perché Aronne gli aveva tolto ogni freno, così da farne oggetto di derisione per i loro avversari. 26Mosè si pose alla porta dell’accampamento e disse: “Chi sta con il Signore, venga da me!”. Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. 27Disse loro: “Dice il Signore, il Dio d’Israele: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio vicino”. 28I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo. 29Allora Mosè disse: “Ricevete oggi l’investitura dal Signore; ciascuno di voi è stato contro suo figlio e contro suo fratello, perché oggi egli vi accordasse benedizione”.
30Il giorno dopo Mosè disse al popolo: “Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore: forse otterrò il perdono della vostra colpa”. 31Mosè ritornò dal Signore e disse: “Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. 32Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… Altrimenti, cancellami dal tuo libro che hai scritto!”. 33Il Signore disse a Mosè: “Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me. 34Ora va’, conduci il popolo là dove io ti ho detto. Ecco, il mio angelo ti precederà; nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato”.
35Il Signore colpì il popolo, perché aveva fatto il vitello fabbricato da Aronne».

​Mosè “vide il vitello”, “afferrò il vitello”, mentre Aronne quasi si scusa: “Ne è uscito questo vitello”; in aperto contrasto con il versetto 14, – che riproponiamo: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.” -, troviamo, al termine del capitolo: “Il Signore colpì il popolo, perché aveva fatto il vitello fabbricato da Aronne”. In questi passi il testo masoretico scrive sempre “hā‘ḗghel”, ossia “il vitello”, uno solo e precisato dall’artico che precede il nome. Ugualmente, con identico valore lessicale, i LXX hanno, rispettivamente: “τὸν μόσχον”, due volte e poi “ὁ μόσχος οὗτος” e, infine: “τοῦ μόσχου”. Che poi il simulacro dovesse avere carattere sacro è precisato là, dove si legge: “Fa’ per noi un dio”, un “’ĕlohîm”, per il testo masoretico; ma, questa volta, i LXX mantengono un plurale indeterminato: “Fa’ per noi degli dèi (θεούς)”.

​Vedremo in seguito alcuni altri testi biblici, nei quali si parla ancora del vitello d’oro, per riprendere poi il tema della speranza in un perdono futuro, magari anche più saldamente fondata per l’esperienza vissuta di un perdono misericordioso già altre volte accordato. (continua)

Note
(*) CRIZIA, Sisifo
POLIBIO, Storie, VI 56
TACITO, Historiæ IV, 7: «nullum majus boni imperii instrumentum quam bonos amicos esse».

​Scrive il Machiavelli: «A uno principe adunque non è necessario avere in fatto tutte le soprascritte qualità, ma è bene necessario parere di averle(1); anzi ardirò dire questo: che, avendole e osservandole sempre, sono dannose, e, parendo di averle, sono utili; come parere piatoso, fedele, umano, intero, religioso,… Debbe adunque uno principe avere gran cura che non gli esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità; e paia, a udirlo e vederlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione: e non è cosa più necessaria a parer d’avere, che questa ultima qualità».
(NICCOLÒ MACHIAVELLI, Il Principe, XVIII, 5.6)

(1) «perché lo universale degli uomini si pascono così di quel che pare come di quello che è: anzi, molte volte si muovono più per le cose che paiono che per quelle che sono». (NICCOLÒ MACHIAVELLI, Discorsi, I, 25)
​La politica pragmatica del Machiavelli constata e sancisce il primato della religione simulata come instrumentum regni; ed è lecito immaginare che, quando l’11 febbraio del 1929 firmò la Conciliazione fra Stato e Chiesa, il cavalier Benito Mussolini avesse ben presente lo spirito, se non la lettera, del capitolo XVIIIdel capolavoro del Segretario fiorentino.

Come dire la Pasqua

Come dire la Pasqua? Nei paesi dell’oriente cris6ano, da questa notte chiunque s’incontri per la strada si scambia un saluto che è soprattutto un annuncio

Leggi »