Перетворення Ісуса, XV sec., Львів(*)

Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!

            La Trasfigurazione del Signore viene celebrata due volte all’anno: la seconda Domenica di Quaresima e il 6 agosto. Il fatto è narrato dai tre sinottici, Matteo (Mt 17,1-9), Marco (Mc 9,2-10) e Luca (Lc 9,28-36), – per quanto, propriamente, in Luca non si parli di “trasfigurazione”, ma di “aspetto diverso” –. Inoltre, il brano di Marco (Mc 9,2-10) viene letto anche il sabato della VI settimana del tempo ordinario.

            Il messaggio della voce proveniente dalla nube dice, rispettivamente:

                        Oὗτός ἐστιν ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός, ἐν ᾧ εὐδόκησα· ἀκούετε ἀυτοῦ. (Mt 17,5)
                        Oὗτός ἐστιν ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός,                             ἀκούετε ἀυτοῦ. (Mc 9,7)
                        Oὗτός ἐστιν ὁ υἱός μου ὁ ἐκλελεγμένος,        ἀυτοῦ    ἀκούετε. (Lc 9,35)

                        (Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo.
                         Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!
                         Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!)

            La celebrazione del 6 agosto era propria dell’Oriente e si pensa che sia stata fissata a quella data perché ci fosse uno spazio di quaranta giorni, estremi inclusi, tra questa festa e quella dell’Esaltazione della Croce, che ricorre il 14 settembre. Papa Callisto III (Alfonso Borgia) la estese a tutta la Chiesa nel 1457 a ricordo della liberazione di Belgrado(1), – attuale capitale della Serbia, in quel tempo città ungherese nota con il nome di Nándorfehérvár, – avvenuta l’anno precedente, il 22 luglio, quando, anche grazie alla predicazione e all’azione militare del frate minore abruzzese, San Giovanni da Capestrano, l’ungherese János Hunyadi mise in fuga le truppe turche di Maometto II, che aveva conquistato Costantinopoli, ponendo fine all’Impero Romano d’Oriente(2).

            Nella celebrazione di rito orientale si legge sempre la narrazione secondo Matteo, nella quale, – come in quella secondo Marco –, si dice che Gesù

                        “fu trasfigurato” (Mt 17,2; Mc 9,2)

(μετεμορφώθη, metemorphṓthē). Nella preghiera liturgica ci si rivolge direttamente al Signore, dicendo: “… che ti sei trasfigurato…. Ti sei trasfigurato…”. Prima della riforma voluta dal Concilio Vaticano II anche nel rito romano si leggeva ogni anno, invariantemente, il brano evangelico di Matteo e questo anche nella seconda Domenica di Quaresima. Nell’attuale ciclo triennale festivo, in entrambe le celebrazioni si succedono nell’ordine le letture dei tre sinottici (il sabato della VI settimana del tempo ordinario, – già si diceva –, si legge il brano di Marco).

            Luca, come si accennava, usa l’espressione

                        “il suo volto [di Gesù] cambiò d’aspetto” (Lc 9,29)

(τὸ εἶδος τοῦ προσώπου αὐτοῦ ἕτερον, tò eîdos prosṓpu aytû héteron, “l’aspetto del volto di lui [diventato] diverso”). Se il senso ovviamente non cambia rispetto al testo degli altri due evangelisti, si fa notare che Luca avrebbe però intenzionalmente evitato il ricorso al verbo μεταμορφόω (metamophóō, trasfiguro), per non evocare nel lettore un qualche, anche vago, riferimento alle metamorfosi dei miti pagani.

            A tal proposito è nota, in particolare, la celebre opera poetica latina di Ovidio dal titolo: Metamorphoseon libri XV, – dove s’imparava, (ai miei tempi, in terza Media), a confrontarsi con i versi esametri, Mentre Tibullo introduceva a familiarizzare con i distici elegiaci –.

            Molti ricorderanno la metamorfosi di Filemone e Bauci (VIII, 611-724), due vecchi coniugi, che, nella loro serena povertà, soli fra tutti i Frigi, ospitano generosamente Zeus ed Ermes, presentatisi a loro travestiti da viaggiatori. Per ricompensa, la loro capanna si trasformerà in uno splendido tempio di Zeus, di cui, per il resto dei loro giorni, diverranno sacerdoti; alla loro morte saranno trasformati, essi pure, diventando una quercia ed un tiglio, uniti per il tronco.

            Dunque, in Ovidio, e non soltanto per lui, si tratta di trasformazione, di “metamorfosi”, di oggetti e di persone che accade in modo “sostanziale”, per cui i trasformati non sono più la stessa realtà precedente, ma qualcosa di assolutamente nuovo. A Luca preme evidenziare il “cambiamento” di aspetto soltanto “momentaneo di una medesima Persona immutata”, ciò che, nell’occasione, accentua, per così dire e per quanto è possibile renderla visibile, la sua realtà divina: di qui la scelta di un diverso lessico.

            Per dire ancora qualcosa, nel VII libro il poeta narra, tra l’altro, la metamorfosi di Medea (VII, 7-424). Abbandonata da Giasone, ella, nella sua folle gelosia, si vendicherà uccidendo i due figli avuti da lui. Il tormento che ha poi segnato un po’ sempre la sua vita, fino al cedimento definitivo, è espresso da Ovidio con quei celebri versi, in parte divenuti proverbiali ed anche argomento di filosofia morale:

                        «Sed trahit invitam nova vis, aliudque Cupido,
                        Mens aliud suadet: video meliora proboque,
                        Deteriora sequor…».

                        («Senza ch’io lo voglia, una strana forza mi trascina, e la passione una cosa,
                        la mente un’altra me ne suggerisce: vedo il meglio e l’approvo,
                        ciò ch’è peggio io seguo…».)

            La successiva metamorfosi, che la vede trasformata completamente in una strega, varrà a impedirle di provare orrore e di sentire dolore per il suo bestiale misfatto.

            A rigore, questa trasformazione è piuttosto il raggiungimento di un ultimo tragico stadio da parte di una persona già imbevuta di magia e invischiata in macabri sortilegi; resta tuttavia il fatto che il cambiamento finale comporta la sostanziale perdita di un’umanità precedentemente, sia pure contraddittoriamente, da lei posseduta. 

(continua)

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Note
(*) Peretvorennja Isusa, L’viv (Trasfigurazione di Gesù, Leopoli)
(1) Durante l’assedio di Belgrado il Papa ordinò una campana di mezzogiorno per chiamare i fedeli a raccolta per pregareper i difensori della città. Con san Pio V la campana di mezzogiorno stette a ricordare la vittoria cristiana a Lepanto del 7 ottobre 1571).
(2) Il 29 maggio 1453 moriva in battaglia l’ultimo imperatore romeo, Costantino XI Paleologo Dragases, ‘Re dei Re, Regnante dei Regnanti’. L’Impero d’Oriente era iniziato nel 395. Quello d’Occidente cadeva ad opera di Odoacre, con la deposizione di Romolo Augustolo, il 4 aprile 476.
            Con la presa di Costantinopoli, secondo alcuni storici, termina il Medio Evo. Altri pongono la fine nel 1492, anno in cui, l’8 aprile, muore Lorenzo il Magnifico, e, il 12 ottobre, avviene la scoperta dell’America.

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