Raffaello, Trasfigurazione, 1518-1520

Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo
mentre eravamo con lui sul santo monte

            Una prudenziale cautela linguistica e culturale, analoga a quella di Luca, a cui si accennava nel nostro precedente articolo, potrebbe avere indotto San Paolo alla scelta del verbo μετασχηματίζω (metaschēmatízō) al posto del pur sempre possibile μεταμορφόω (metamophóō, trasfiguro), quando, a proposito della nostra trasfigurazione escatologica, egli scrive:

20La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21il quale trasfigurerà (metaschēmatísei) il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso,… (Fil 3,20-21).

Il sostantivo greco σχῆμα (schêma) viene dal verbo ἔχω (échō, in latino “habeo”, “io ho”) ed etimologicamente equivale al sostantivo latino “habitus”, “l’esteriore”. Come il Risorto è lo stesso Gesù di Palestina, – ora nell’aspetto glorioso, prima in quello umile di servo –, così la glorificazione dei santi comporterà un incorruttibile e definitivo cambiamento d’aspetto, senza toccarne l’unicità personale.

            Le due letture che precedono la proclamazione del Vangelo nella festa della Trasfigurazione sono fisse: la prima, tratta dal libro di Daniele (Dn 7,9-10.13-14), narra di un’apparizione di Dio; in particolare vi si legge:

                        13Guardando ancora nelle visioni notturne,

                           ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo;

                           giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.

                        14Gli furono dati potere, gloria e regno;

                           tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:

                           il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai,

                           e il suo regno non sarà mai distrutto.

Qui è data profeticamente la prefigurazione del Figlio dell’uomo nello splendore della sua gloria. La seconda lettura, dalla seconda Lettera di S. Pietro (2Pt 1,16-19), riporta, tra l’altro, la testimonianza dello stesso apostolo:

17Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria:

«Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento

(Ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός μου οὗτός ἐστιν εἰς ὃν ἐγὼ εὐδόκησα,)».

18Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.

            Tornando al ciclo liturgico temporale, la prima e la seconda Domenica di Quaresima hanno tematiche fisse, compendiate nei rispettivi Prefazi: la vittoria di Cristo sulle “insidie dell’antico tentatore” e la manifestazione de “la sua gloria”. Alle letture che precedono la proclamazione del Vangelo è affidato in questo caso il compito di evidenziare, di volta in volta, i singoli elementi costitutivi del brano evangelico stesso.

            In particolare, nella II Domenica A il racconto della fede di Abramo (Gn 12,1-4a), che “chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.” (Eb 11,8), evidenzia lo scopo di proteggere, mediante la Trasfigurazione, la fede di Pietro, Giacomo e Giovanni dallo scoraggiamento derivante dallo scandalo della croce. Nella seconda lettura san Paolo, da parte sua, incoraggia Timoteo a soffrire con lui per il Vangelo (2Tm 1,8b-10), fortificato da

10… la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù.

Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo,...

            Nella II Domenica B il sacrificio (intenzionale) di Isacco (Gn 22,1-2.9a.10-13.15-18) e quello (reale) di Cristo (Rm 8,31b-34), entrambi conclusi, seppure in modo diverso, con il trionfo della vita sulla morte, invitano a meditare intensamente le parole conclusive di Marco:

9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

            Finalmente, la II Domenica C ascoltiamo l’evento dell’alleanza (monolaterale!) di Dio con Abramo (Gn 15,5-12.17-18):

12Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.

È evidente il richiamo a questo versetto del passo lucano (Lc 9,32)

32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

            Per quanto riguarda la seconda lettura (Fil 3,17-4,1) si è già fatta più sopra qualche osservazione. Si potrà anche utilmente osservare la costante insistenza da parte dell’Apostolo quanto alla speranza incrollabile nella futura completa e definitiva nostra configurazione al Signore della gloria, – la cui Trasfigurazione è una caparra e la Risurrezione la certezza di realizzazione –, espressa in diverse sue lettere, in particolare nella prima ai Corinti (1Cor, 15,1-34), da cui prendiamo la sintesi seguente:

13Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto!

20Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.

            Tanto che

32bSe i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo (Is 22,13).

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