Prospettive laiche e francescane

            Uno speciale esame di coscienza previo e concomitante sul fare il bene e farlo bene, – che può rammentare il “Confiteor” tridentino quanto alle parole “cogitatione, verbo et opere” –, fu stilato da Herbert Taylor nella nota forma, dal 1943 assurta a codice etico ufficiale del Rotary International:
                        Ciò che penso, dico o faccio:
                                   1. risponde a verità?
                                   2. è giusto per tutti gli interessati?
                                   3. promuoverà la buona volontà e migliori rapporti d’amicizia?
                                   4. sarà vantaggioso per tutti gli interessati?(1)

            Altro aspetto della “Bella preghiera” da prendere in seria considerazione è, come si accennava, che essa riesce a evidenziare molto bene il servizio, cioè il far bene il bene, perché fa ricorso ad una apparente contraddizione o paradosso o antinomia, che dir si voglia, quando afferma: «c’est en donnant qu’on reçoit», ciò che introduce nella sfera della più intima realtà personale: per capirne la portata, bisogna frugarsi dentro la propria coscienza.

            Com’è noto, si dà propriamente contraddizione quando si predica una cosa e il suo contrario di un medesimo soggetto, nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto formale. La contraddizione qui è solo apparente, – ma sfiorarla è assai suggestivo –, perché dare e ricevere non sono adoperati nello stesso senso. Se dò un pezzo di pane a qualcuno (dare in senso materiale), è chiaro che non lo sto ricevendo, ma posso benissimo ricevere (in senso morale o spirituale) il sorriso del donatario o anche soltanto la gratificazione interiore di aver fatto un’opera di misericordia, che per me, donante non affamato, vale più del pane. La mamma, che si sente chiamare così la prima volta, ha dato, con la vita, chissà quante cose buone e attenzioni amorose alla sua creatura, ma sta ricevendo, se si può dire, anche più di quello che ha dato e darà ancora in seguito, perché non c’è nulla di più sublime di un balbettare
                        «color di rosa senza biancor di denti(2)».

            In questa profonda spiritualità di pace, di donazione totale e di riconoscente stupore per quanto ne promana e viene riverbarato, si colloca Francesco d’Assisi, che, in questo senso, può anche esser pensato come uno speciale ispiratore ideale della “Bella preghiera”. Nel cuore del suo Testamento, – dettato forse a Le Celle di Cortona, verso metà settembre 1226 –, fece scrivere:
                        «La salutazione mi rivelò il Signore, acciocché dicessimo:
                        il Signore ti dia pace(3).»;

la pace interiore, inalterabile, lontana da ogni sterile compiacenza, fosse pure per la più lusinghiera acquisizione o riconoscimento, fondata sul non adirarsi per l’offesa e la villania subite…:
                        «Frate Leone, scrivi…. in questo è vera letizia….(4)»;

poi ancora:
                        «Laudato si’, mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
                        da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
                        guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;
                        beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,
                        ka la morte secunda no ’l farrà male(5).»,

mentre, come un’eco, la “Bella preghiera” ridice:
                        «c’est en mourant qu’on ressuscite à l’éternelle vie».

            Il padre Cristoforo, di manzoniana memoria, dopo aver sperimentato l’odio («Ho odiato anch’io: io che t’ho ripreso per un pensiero, per una parola, l’uomo che odiavo cordialmente, che odiavo da gran tempo, io l’ho ucciso(6).»), – fattosi frate non per paura e ancor più per vocazione che non per pura volontà espiatrice(7) –, farà sua la bandiera del perdono e raccomanderà a Renzo e Lucia:
                        «Se Dio vi concede figliuoli, abbiate in mira d’allevarli per Lui, d’istillar loro l’amore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto…. Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto(8)!»: «in quell’età sudicia e sfarzosa(9)» lo spirito di S. Francesco era ancora vivo in un suo tormentato ma autentico figlio spirituale («Zitto!» interruppe il frate: «credi tu che, se ci fosse una buona ragione, io non l’avrei trovata in trent’anni(10)?»).

            Ma, più ancora di queste consonanze, mi pare che Francesco sia un’espressione sovrana del vivere bene il servizio. Nel prossimo ed ultimo articolo a proposito di “Servizio”, prenderemo in considerazione alcuni brani dalla Leggenda dei tre Compagni (Leone, Rufino e Angelo).
3 continua

Note

(1) Herbert J. Taylor, Prova delle quattro domande, 1932.
(2) Giovanni Pascoli, Il nonno e il nipotino (Pierino).
(3) Gli Scritti di Francesco e Chiara d’Assisi, Editrici Francescane, 2012, [121].
(4) cfr. o. c., [278]
(5) o. c., Cantico di frate Sole, [263].
(6) Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, XXXV.
(7) o. c., IV.

(8) o. c., XXXVI.

(9) o. c., XXII.

(10) o. c., XXXV.

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