JAN VAN EYCH, Agnus Dei
Ἴδε ὁ ἀμνὸς τοῦ θεοῦ ὁ αἴρων τὴν ἁμαρτίαν τοῦ κόσμου.
Ἴδε ὁ ἀμνὸς τοῦ θεοῦ(2).

            Nella III Cornice del Purgatorio, dentro un fumo così denso da produrre un buio assoluto, più ancora di una notte senza luna e senza stelle, gli iracondi scontano la loro pena. Da loro, in un coro concorde da parere una sola voce, si innalza la preghiera a “l’Agnel di Dio che le peccata leva.(1)”, per implorare misericordia e pace. Sono le invocazioni che nella Messa precedono la comunione: “Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis” (due volte), e poi “Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem”. A loro volta queste invocazioni si rifanno alla testimonianza resa dal Battista, che, «Il giorno dopo, [la sua umile e sincera confessione di non essere lui il Messia] vedendo Gesù venire verso di lui, disse: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”(2)».

            Nella V Cornice sono puniti due peccati opposti, l’avarizia e la prodigalità. Nell’abbastanza lungo e assai dettagliato intervento storico di Ugo Capeto, personaggio centrale del XX Canto, c’è spazio per la condanna del peccato di avarizia (e non solo di quello) commesso da parte della sua dinastia e che durerà ancora abbastanza (in una sorta di profezia post eventum), oltre che per riprovarlo in sé e per sé.

            Ricordiamo, qui di passaggio, una veloce successione di eventi, che, al tempo di Dante, facevano da premessa non solo storica, ma direttamente causale delle vicende vissute dal Poeta in prima persona.

            L’impero carolingio, fondato ufficialmente la notte di Natale dell’800, con l’incoronazione di Carlo Magno da parte del papa Leone III, fra le altre caratteristiche, ebbe quella di essere considerato come un bene patrimoniale dinastico e ben presto si smembrò tra vari discendenti. Pur rimanendo uno il titolo imperiale, di fatto si crearono realtà politiche indipendenti, tra cui la Francia, e fra loro conflittuali.

            Tra la fine del Dugento e l’inizio del XIV secolo, per limitarci a quel momento storico, i poteri in lotta sono tre: il papato, sotto il pontificato di Bonifacio VIII (dal 24 dicembre 1294 all’11 ottobre 1303); il sacro romano impero (il primo Reich, nato o battezzato, secondo i punti di vista, nel 962 con Ottone I. Nel periodo preso in considerazione siede Alberto I d’Asburgo, mai incoronato e in contrasto – poi risolto – con la Francia per questione di confini; a un passo dall’obbligo di giuramento di fedeltà al papa.); la Francia appunto, dove, dal 1284, regna Filippo VI, detto “il bello”. Periodicamente, prima e dopo Dante, continuano a susseguirsi instabili alleanze di convenienza, politiche o anche armate, dichiarate o anche di semplice non intervento, secondo lo schema del due contro uno, oppure di uno contro un altro e un terzo alla finestra.

            Ugo Capeto lamenta che, dopo un periodo in cui la sua discendenza non ha brillato per grandi imprese, ma non ha neppure commesso grosse malefatte, con Carlo I d’Angiò si assiste ad un grave peggioramento con l’invasione del regno di Napoli, la condanna a morte Corradino di Svevia, decapitato a sedici anni, e poi il procurato avvelenamento di san Tommaso d’Aquino(3). Di lì a poco, di peggio in peggio, Carlo di Valois lascerà la Francia armato solo del tradimento e colpirà duramente Firenze, impresa che non gli procurerà una terra, ma solo vergogna e disonore: “Quindi non terra, ma peccato e onta(4)”.

            Carlo II d’Angiò, in seguito, arriverà al punto di vendere la propria figlia a Azzo VIII d’Este come fanno i corsari con le schiave, dimostrando che l’avarizia ha del tutto soggiogato i Capetingi.

            Il culmine di tali empietà sarà raggiunto da Filippo il Bello, che manderà i suoi emissari ad Anagni a oltraggiare papa Bonifacio VIII: Cristo sarà catturato e deriso nella persona del suo vicario, ucciso nuovamente tra due ladroni vivi: Guglielmo di Nogaret e Sciarra Colonna(5). Il penitente profetizza ancora che Filippo, nuovo Pilato, porterà le sue vele nel Tempio, scioglierà cioè l’ordine dei Templari per incamerarne i beni cospicui. Come è noto, dopo il pontificato di un solo anno di Benedetto XI, la Francia si imporrà con l’elezione di Clemente V, dando il via alla successione francese e alla cattività avignonese, durata oltre settant’anni(6).

            Ugo Capeto non va oltre la soppressione dei Templari e invoca per tutti costoro la vendetta e l’ira divina. (continua)

Note
(1) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Purgatorio, Canto XVI, 18
(2) Gv 1,29. Letteralmente: “Vedi! L’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.
Gv 1,36b: “Vedi! L’agnello di Dio”. L’imperativo “ἴδε” può assumere il valore avverbiale di “ecco”, in senso dimostrativo, come chi accompagna una affermazione con il gesto indicativo della mano.
(3) Per la morte di San Tommaso d’Aquino, avvenuta il mercoledì 7 marzo 1274 a Fossanova, all’età di neppur cinquant’anni, si sono fatte diverse ipotesi. Si sa che il 29 settembre 1273 partecipò al capitolo della sua provincia a Roma in qualità di definitore e che, alcune settimane più tardi, mentre celebrava la Messa nella cappella di San Nicola, ebbe una sorprendente visione tanto che dopo la Messa non scrisse, non dettò più nulla e anzi si sbarazzò perfino degli strumenti per scrivere. A Reginaldo da Piperno, che non comprendeva ciò che accadeva, Tommaso rispose dicendo: «Non posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto». Oltre il complotto, si è parlato anche di un lasciarsi morire conseguente al taedium vitae.
(4) o. c., Purgatorio, XX, 76
(5) Dante non fu tenero con Bonifacio VIII e spesso ebbe le sue ragioni, ma seppe distinguere la condotta personale, anche censurabile, dal ruolo legittimamente ricoperto. Qualcosa del genere, e a più vasto raggio, in quanto relativo al sacerdozio in generale, dettò San Francesco nel suo Testamento: “6Poi mi diede il Signore e dà tanta fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, per causa dell’ordine loro, che, se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere ad essi. 7E se io avessi tanta sapienza, quanta n’ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo secolo, nelle parrocchie nelle quali dimorano, non voglio predicare oltre la volontà di essi. 8Ed essi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori; 9e non voglio in essi considerare peccato, perché io riguardo in quelli il Figliuolo di Dio, e sono miei signori. 10E per questo il faccio, imperocché niente vedo corporalmente in questo secolo di esso altissimo Figliuolo di Dio, se non il santissimo Corpo ed il santissimo Sangue suo, il quale essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri”.
(6) I papi avignonesi furono otto: Clemente V (1305 – 1314), Giovanni XXII (1316 – 1334), Benedetto XII (1334 – 1342), Clemente VI (1342 – 1352), Innocenzo VI (1352 – 1362), Urbano V (1362 – 1370), Gregorio XI (1370 – 1378). Ad Avignone sedette anche Clemente VII (1378-1394), antipapa.
Urbano V rientrò temporaneamente a Roma per un triennio circa, ma il ritorno definitivo fu il 17 gennaio 1377 con Gregorio XI, che morì poco dopo, il 27 marzo 1378.
In Francia regnava Carlo V (1364 – 1380), settimo successore di Filippo il Bello, che nel 1364 determinò la ripresa della guerra dei cent’anni contro l’Inghilterra, la cui prima fase si era conclusa otto anni prima e che aveva spostato gli interessi della Francia.
A Gregorio XI succedette Urbano VI (1378 – 1389), sotto il cui pontificato iniziò lo scisma d’occidente, durato quasi quarant’anni.
La vicenda umana di Dante si conclude sotto il pontificato di Giovanni XXII, mentre in Francia regna Filippo V e Ludovico IV, il Bavaro, è Rex Romanorum.

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