PERSONAGGI “SENZA NOME”

Rogier Van Der Weyden, S. Girolamo e il leone, 1450
Incola Bethlææ cavernæ – Incola decoratus stigmate

            Continuando quella sorta di explicatio prævia iniziata nell’articolo precedente, dove si è un po’ cercato di produrre i riferimenti biblici ai quali è stato attinto per designare Mosè senza mai chiamarlo per nome, seguitiamo con altri tre personaggi, cui l’anonimo Autore della più volte ricordata “elegiuncola” fa riferimento e sempre con lo stesso metodo: il testo del componimento lo presenteremo volutamente in ultimo, in modo che la lettura sia, quanto più possibile, scorrevole.

            Il mitico Dedalo compare sotto l’epiteto che ne esalta la proverbiale genialità architettonica, cautelando così il lettore dei distici, che non avesse a pensare che la costruzione che vedrà sia un’opera sovrastata da una gran cupola (Thŏlŭs, ī, m.) realizzata per l’appunto con raffinata “arte dedalea”.

            Da Regia Parnassi, opera di riferimento pressoché obbligata, prendiamo quanto segue:

            Dædălĕŭs, ă, ūm. Di Dedalo. Dædălŭs, ī, m. Dedalo. (…) padre di Icaro, artefice molto famoso. Dicesi ch’egli inventasse il primo le vele de’ navigli. Fabbricò il laberinto di Candia, in cui fu rinchiuso col suo figlio Icaro (…): ma avendo fabbricato le ali a sé ed al suo figlio con penne e cera, se ne volò verso la Sardegna, e di là passò a Cuma. Icaro, avvicinatosi troppo al Sole, cadde in mare.

            Se la costruzione di cui si parla non è, per così dire, una sala d’una reggia sfarzosa, non ci si devono creare neppure improprie aspettative quanto alla persona dell’abitatore: non si tratta di san Girolamo.

            Sofronio Eusebio Girolamo (Sofronius Eusebius Hieronymus; Stridone in Istria, 347 – Betlemme, 30 settembre 420) fu un biblista, traduttore, teologo e monaco. Padre e Dottore della Chiesa, tradusse in latino parte dell’Antico Testamento greco (ci sono giunti, integri o frammentari, Giobbe, Salmi, Proverbi, Ecclesiaste e Cantico dalla versione dei Settanta) e, successivamente, l’intera Scrittura ebraica. Osteggiato come successore di papa Damaso (morì l’11 dicembre 384: il giorno 17 immediatamente successivo fu eletto Siricio), nell’agosto del 385 s’imbarcò dal porto di Ostia alla volta dell’Oriente; successivamente lo raggiunsero le discepole Paola, Eustochio ed altre pie donne appartenenti alla comunità delle ascete romane. Giunto a Gerusalemme, si dedicò alla traduzione della Sacra Scrittura direttamente dall’ebraico al latino. Paola fondò a Betlemme un monastero maschile ed uno femminile, dove andò a vivere. Insieme alla figlia ed a Girolamo visitò la Terrasanta; tutti e tre decisero di rimanerci fino alla fine dei loro giorni. Nel 386 Girolamo andò a vivere nel monastero maschile, dove rimase fino alla morte. Nell’elegia si accenna a lui connotandolo con la perifrasi “asceta incola Bethlææ cavernæ”, circondato da “pantere e idre”.

            Quanto a queste inquietanti e forse anche un po’ inusuali presenze, si può pensare che si tratti di un adattamento che si rifà ad un celebre episodio, accaduto in una fase precedente della vita di Girolamo, cioè quando nel deserto, dove aveva vissuto per tre anni, arrivò una volta un leone ed egli si accorse che l’animale era ferito: lo curò e lo accolse con i suoi confratelli nella comunità, al fianco dell’asino, unico bene posseduto dai monaci. Un giorno l’asino fu rubato mentre il leone dormiva e i monaci accusarono la belva di averlo mangiato. Quando il leone incontrò l’asino, al seguito dei mercanti che lo avevano rubato, lo riportò ai monaci. La leggenda è così famosa che la si trova raccontata in molti scritti dei secoli successivi ed ha ispirato la caratteristica rappresentazione iconografica di Girolamo appunto in compagnia del leone.

            Ultimo personaggio della breve serie è Francesco d’Assisi, introdotto con la perifrasi “incola decoratus stigmate Christi transfixi et paupertatis sponsus” (“fixi” è preceduto da un guasto nel testo, che, per ragioni metriche, deve essere colmato con una sillaba lunga: abbiamo supposto potesse essere “trans”, che scriviamo in corsivo, come si farà ogni altra volta, quando occorrerà congetturare il riempimento di una piccola o grande lacuna testuale).

            A questo proposito, le possibili fonti, dalle quali possono essere stati ispirati sia il motivo dello sposalizio mistico con madonna Povertà, come il singolare fenomeno dell’impressione delle stimmate per caratterizzare la persona di san Francesco, sono veramente assai numerose, tanto che non proviamo neppure a darne una qualche sommaria elencazione; bensì ne prendiamo in considerazione una soltanto: illustre oltre ogni dire e non necessariamente pretendendo che sia proprio quella o una di quelle accarezzate dal nostro anonimo Autore.

            Un po’ tutto il canto XI del Paradiso di Dante (139 versi) centra la figura di Francesco di Assisi, ma certamente in modo più diretto sono a lui dedicati i versi da 43 a 117 (25 terzine, per comodità riportate in fondo a questo articolo), quasi una biografia selettiva, tra collocazione storica e localizzazione paesaggistica, in termini di spiritualità profondamente ascetica e di sognante innamoramento, con una venatura di trepidazione nel consegnare al futuro una così esaltante ed esigente eredità.

            Il motivo dello sposalizio mistico con madonna Povertà è assolutamente predominante, occupando tutta la parte centrale del canto: dal verso 55 al 99 (15 terzine) per riprendere dal verso 109 al 117 (altre 3 terzine), cosicché non si potrebbe dire che sia l’unico elemento caratterizzante il “giullare” di Dio, ma quello personalmente travolgente e seducente per l’attrazione esercitata in letizia, vissuta e condivisa: “di dì in dì l’amò più forte”; “La lor concordia e i lor lieti sembianti () facieno esser cagion di pensier santi”.

            Due terzine fanno cenno alla sete di martirio del Poverello; una, come un epigramma, all’impressione delle stimmate: il “crudo sasso intra Tevero e Arno” scolpisce nell’asprezza dello scenario naturale la durezza della sofferenza fisica; “l’ultimo sigillo” è l’autenticazione posta al termine di un’esistenza unicamente orientata “a vivere secondo la forma del santo Vangelo(1)” e Colui che è “il Primo e l’Ultimo(2)” si è firmato con il suo “Amen”.

            Forse il nostro più volte ricordato anonimo Autore aveva altre vedute e altri criteri e certamente non pare essere arrivato a sublimi altezze poetiche, ma, lo ripetiamo ancora una volta prima delle successive puntate, le cose più piccole sono importanti, perché sono tante e fanno una considerevole parte della storia.
(2. continua)

Note

(1) Francesco d’Assisi, Testamento, Fonti Francescane, 116

(2) Ap 22,13

Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, Canto XI:
  43                              Intra Tupino e l’acqua che discende
                                      del colle eletto dal beato Ubaldo,
                                      fertile costa d’alto monte pende,
  46                              onde Perugia sente freddo e caldo
                                      da Porta Sole; e di rietro le piange
                                      per grave giogo Nocera con Gualdo.
  49                              Di questa costa, là dov’ella frange
                                      più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
                                      come fa questo tal volta di Gange.
  52                              Però chi d’esso loco fa parole,
                                      non dica Ascesi, ché direbbe corto,
                                      ma Oriente, se proprio dir vuole.
  55                              Non era ancor molto lontan da l’orto,
                                      ch’el cominciò a far sentir la terra
                                      de la sua gran virtute alcun conforto;
  58                              ché per tal donna, giovinetto, in guerra
                                      del padre corse, a cui, come a la morte,
                                      la porta del piacer nessun diserra;
  61                              e dinanzi a la sua spirital corte
                                      et coram patre le si fece unito;
                                      poscia di dì in dì l’amò più forte.
  64                              Questa, privata del primo marito,
                                      millecent’anni e più dispetta e scura
                                      fino a costui si stette sanza invito;
  67                              né valse udir che la trovò sicura
                                      con Amiclàte, al suon de la sua voce,
                                      colui ch’a tutto ’l mondo fé paura;
  70                              né valse esser costante né feroce,
                                      sì che, dove Maria rimase giuso,
                                      ella con Cristo pianse in su la croce.
  73                              Ma perch’io non proceda troppo chiuso,
                                      Francesco e Povertà per questi amanti
                                      prendi oramai nel mio parlar diffuso.
  76                              La lor concordia e i lor lieti sembianti,
                                      amore e maraviglia e dolce sguardo
                                      facieno esser cagion di pensier santi;
  79                              tanto che ’l venerabile Bernardo
                                      si scalzò prima, e dietro a tanta pace
                                      corse e, correndo, li parve esser tardo.
  82                              Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
                                      Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
                                      dietro a lo sposo, sì la sposa piace.
  85                              Indi sen va quel padre e quel maestro
                                      con la sua donna e con quella famiglia
                                      che già legava l’umile capestro.
  88                              Né li gravò viltà di cuor le ciglia
                                      per esser fi’ di Pietro Bernardone,
                                      né per parer dispetto a maraviglia;
  91                              ma regalmente sua dura intenzione
                                      ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
                                      primo sigillo a sua religione.
  94                              Poi che la gente poverella crebbe
                                      dietro a costui, la cui mirabil vita
                                      meglio in gloria del ciel si canterebbe,
  97                              di seconda corona redimita
                                      fu per Onorio da l’Etterno Spiro
                                      la santa voglia d’esto archimandrita.
100                              E poi che, per la sete del martiro,
                                      ne la presenza del Soldan superba
                                      predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,
103                              e per trovare a conversione acerba
                          troppo la gente e per non stare indarno,
                          redissi al frutto de l’italica erba,
106                  nel crudo sasso intra Tevero e Arno
                          da Cristo prese l’ultimo sigillo,
                          che le sue membra due anni portarno.
109                  Quando a colui ch’a tanto ben sortillo
                          piacque di trarlo suso a la mercede
                          ch’el meritò nel suo farsi pusillo,
112                  a’ frati suoi, sì com’a giuste rede,
                          raccomandò la donna sua più cara,
                          e comandò che l’amassero a fede;
115                  e del suo grembo l’anima preclara
                          mover si volle, tornando al suo regno,
                          e al suo corpo non volle altra bara.

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