Sembrare galantuomo, per incastrare un semplicione innocente, far figura e, possibilmente, anche carriera è facile e infame.

            A costo di passare per pedanti, – che poi, a dirla tutta, non ci parrebbe un così gran difetto -, come ci eravamo proposti, prendiamo di proposito in considerazione i singoli aggettivi mariolo, profondo, galantuomo, acuto, già precedentemente richiamati e cerchiamo di indovinare come stiano combinati nella testa di don Ferrante.

            Mariolo sta per “furfante”, a meno che non lo si adoperi scherzosamente, tipo “Ah, mariolo, si viene a quest’ora?”; usato in senso proprio, il suo contrapposto è “galantuomo” (vedasi il Novo Dizionario del Petrocchi). Si potrebbe credere di essere autorizzati ad andare oltre, perché l’essenziale su “galantuomo” è già stato detto e invece no: nulla da aggiungere, infatti, se il termine viene usato in senso proprio; ma si badi, perché il Manzoni offre molti casi concreti di un uso, diciamo, improprio di questa parola, come riportiamo in nota(1). In ogni caso si tratta di due qualifiche d’ordine morale.

            “Acuto” e “profondo” possono avere diversi significati; in senso proprio sono contrapponibili, se non proprio contrapposti: acuta può essere la cima di un monte e profonda una valle; in senso figurato, come nel nostro caso, in cui di valutazioni attribuite alle capacità intellettuali, sono sostanzialmente equivalenti: un ingegno profondo e un ingegno acuto vengono a dire che si tratta, in ogni caso, di un grand’ingegno.

            Eccoci, finalmente all’apice della vacuità sentenziosa del nostro saggio studioso, perché prestando attenzione a quel ripetuto “sì, ma”, si dovrebbe intendere o che i marioli d’ordinario debbano essere mediocri o anche meno, ma che possano essere in via eccezionale geniali come i galantuomini e arrivare a scandagliare profondità abissali, che non sarebbe poi una grande scoperta; oppure che i galantuomini, che sono normalmente un po’ dei pan persi, eppure, qualche volta, diventano delle cime da fare invidia ai più smaliziati marioli. Ma non ci illudiamo con questo di avere fatto tutte le possibili ipotesi interpretative, perché il mistero della psiche umana è impenetrabile, specialmente quando questa è genialmente contorta e sconclusionata.

            Il tutto serve egregiamente a dimostrare che si può pontificare senza aver nulla di sensato da dire. Il ritratto di don Ferrante è completo, insieme a quello di tutti i paludati ciarlatani d’ogni tempo,… “perché non si può spiegare quanto sia grande l’autorità d’un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi” e, vogliamo aggiungere, quando disserta per sentire il suono della propria voce, mentre gli altri vanno estraniandosi con un mezzo sorriso stiracchiato.

            Succede un po’ sempre così, anche ai nostri giorni: magari in altri campi e con qualche differenza morale: don Ferrante è uno che non comanda e non cerca di comandare, un umile presuntuoso e pensatore superficiale, ma è buono…. Per amor di verità e di onestà, ai nostri tempi bisognerà sostituire il prestigioso sostantivo ‘dotto’ con qualcosa di più prosaico, plebeo, indeterminato, equivoco come ‘capopopolo’, imbonitore o che so io,… il tutto esercitato, senza l’attenuante dell’ingenuità, nei confronti e a beneficio d’un popolo senza idee, – come purtroppo è un po’ sempre il popolino: “vulgus vult decipi, ergo decipiatur(2)” -, supinamente persuaso, perché fortemente disagiato, artatamente mantenuto ignorante, provocatoriamente incattivito e un po’ (o parecchio?) naturalmente cattivo di suo. (continua)

Note

(1) Ne I Promessi Sposi ‘galantuomo’ ricorre 55 volte nei sensi più disparati; ad esempio all’osteria della Luna piena, – dopo vuotato un fiasco, anche se non proprio tutto da solo, bensì assai sobriamente aiutato da Ambrogio Fusella, spadaio -, dalla bocca del poco avveduto avventore lo sentiamo applicare al vino: «Porta del medesimo,» disse Renzo: «che lo trovo galantuomo; e lo metteremo a letto come l’altro, senza domandargli nome e cognome, e di che nazione sarà, e cosa viene a fare, e se ha a stare un pezzo in questa città.» (XIV,19).

            Il plurale ‘galantuomini’ compare 24 volte, sempre nei più diversi sensi. Spicca fra tutte l’idea che di galantuomini se n’è fatta l’oste del paese di Renzo: «Le azioni, caro mio: l’uomo si conosce all’azioni. Quelli che bevono il vino senza criticarlo, che pagano il conto senza tirare, che non metton su lite con gli altri avventori, e se hanno una coltellata da consegnare a uno, lo vanno ad aspettar fuori, e lontano dall’osteria, tanto che il povero oste non ne vada di mezzo, quelli sono i galantuomini….» (VII,98).

(2) CARLO CARAFA: «Il popolo (il mondo) vuole essere ingannato, e allora sia ingannato».

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