RECORDARE, DOMINE, QUID ACCIDERIT NOBIS NE IN ÆTERNUM IRASCARIS NOBIS

Ricordi di un Cappellano pediatrico

«Firenze, 27-08-2011.
                        Cara Rita,
ho sentito ora al telefono Giuseppe, fratello di Enzo Riccardo ***: siamo veramente al capolinea. Riccardo è ricoverato all’Hospice dell’Ospedale di ***, (scala *, *° piano, stanza n° *) ed è veramente, come si dice a Firenze, agli sgoccioli. Gli ho detto della Sua disponibilità a farci un salto, spiegando velocemente a Giuseppe come Lei ed io ci siamo conosciuti: la proposta è stata molto apprezzata. Se posso, vorrei chiederLe di andarci quanto prima: Dio rimeriti e il Padre San Francesco.
            Quand’ero bambino, tanti anni fa, mi commuoveva la storia del cerbiatto Bambi, dotato di grandi e dolci occhi, rimasto orfano della mamma. Di quel film è stato scritto: «La scena che più rimane nella coscienza dello spettatore, anche a distanza di tempo, è la “morte invisibile” della mamma e il suono della voce del figlio che la cerca. Pur non essendo una sequenza esplicita (non si vede né si ode la mamma colpita dalla fucilata del cacciatore, a parte uno sparo molto forte quando Bambi gira l’angolo dietro alla neve), il dramma della morte è così forte che rimane una pietra miliare nella storia del cinema, non solo di animazione».
            L’inversione dell’evento luttuoso, – come dire: quando è Bambi che muore lasciando sola la madre –, umanamente non ha un nome: che sconquasso quando gli occhi neri e dolci che si chiudono sono quelli di Riccardo, che se ne va, e resta una mamma desolata!
            Bisogna trovare una grande forza per poter ripetere con San Francesco:
                        “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
                          da la quale nullo homo vivente pò scappare.
                          Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;
                          beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
                          ka la morte secunda nol farà male”.
            Se Riccardo può ancora capire, gli dica, (altrimenti lo dica ai suoi familiari), che ho chiesto al Signore che, se ci sono delle pendenze a suo carico, metta tutto sul mio conto: di più non posso fare.
            Grazie. Pace e bene.
                                               P. Guglielmo

Firenze, 29-08-2011.
                        Carissimi Rita e Giancarlo,
la prima cosa bella è stata la spontanea disponibilità, forse, meglio, la generosa proposta di prendersi cura, di lasciarsi coinvolgere; la seconda è che siate andati insieme da Riccardo; la terza – solo perché è consequenziale nel tempo, ma che è la prima per importanza – è aver provocato quel timido abbozzo di uno stanco sorriso, che non vedremo mai più.
            Avete fatto molto, tanto: per aver affrontato il disagio di una notte di turno, mettendo da parte la stanchezza a fronte di un languore mortale; per aver incontrato una mamma che può solo piangere; per aver parlato a un ragazzo che non ha più voce.
            Ricordo: potevano essere gli anni ’80, quando, d’estate, passavo qualche giorno con i miei vecchi, mia sorella, mio cognato e mio nipote, che allora aveva, sì e no, finito le scuole elementari.
            Vicino a loro, in una località a mezza collina, due passi da Firenze, veniva a passare qualche giorno una famiglia con un bambino segnato dal cancro e dalla chemio: un pulcino spennacchiato e impaurito, timido e impacciato.
            Con quello, che allora era il mio nipotino Andrea – e che ora (allora) e da diversi anni è il mio più stretto collaboratore nei problemi edilizi del nostro Economato cappuccino toscano –, avevo insistito che giocasse con quel bambino, facendo conto di non accorgersi che era spelacchiato, incerto e lento.
            Quel bambino, quel pulcino con le ali piccine, morì. Lo seppi un po’ dopo, ma chi me lo riferì, mi disse che, poco prima di entrare in coma, aveva chiesto a Gesù di potersi addormentare per riposare finalmente tranquillo.
            Da allora sono passati più o meno trent’anni (ora sono oltre quaranta); non ne passeranno altri trenta perché, da improbabile vecchio centenario (!), io possa raccontare a qualche anima gentile l’accoramento provocato dall’addormentarsi di un simpatico e affettuoso giovane fraternamente amato. Resterà, in ogni caso, il fatto che persone così diverse per età, professione, residenza,… la Provvidenza le ha messe accanto e insieme: «Gioire con chi gioisce, piangere con chi piange» (Rm 12,15).
            «La terra non basta a ricoprire i morti» (Kon Ichikawa, Arpa birmana, 1956); le nubi sono cariche del vapore dei nostri sospiri; il mare non è vasto quanto il pianto e il compianto: «Sunt lacrimæ rerum et mentem mortalia tangunt» (Eneide, I, 462); il nostro cielo non è ampio quanto basta per accogliere tutte le nostre suppliche: forse è per questo che «aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova» (2Pt 3,13; cfr Is 65,17 e Ap 21,1).
            «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?» (Rm 8,35). Abbiamo tanto bisogno di preghiera per continuare ad andare avanti, infondendo speranza e donando amore; piangendo di nascosto, perché altri possano accennare forse anche solo ad una smorfia, che vorrebbe imprimere alle labbra l’atteg-giamento d’un sorriso fugace.
            Pace e bene. A Veronica un bacio.
                                               P. Guglielmo

Firenze, 11-09-2011.
            Nella notte fra giovedì, 8 settembre, e venerdì 9, Riccardo ha definitivamente cambiato residenza e dimensione: neppure una settimana prima avevo potuto ascoltare al telefono, per l’ultima volta, la sua voce stanca. La mamma mi ha detto che non riusciva più a dormire da giorni e che ora, finalmente, poteva riposare sereno.
            La Chiesa finiva di celebrare la festa della natività di Maria: tu nascevi ad una vita nuova, bella e sfuggente, che ci fa piangere e sperare. Avevi piume ed ali discrete, avevi provato a volare,… ma le penne remiganti s’erano fatte troppo rade per poter seguitare a librarti nell’aria. Riccardo, ricordati di noi: la memoria di chi vive oltre il tempo è più attenta e costante della nostra. Se tua mamma ti sogna, dille che ti vogliamo e le vogliamo bene. Riposa in pace, perdona la ruvida scorza di alcuni e l’inutile tergiversare di altri: aspettaci. Amen».

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