Il “paradosso” di ricevere donando

            Nel numero di dicembre del 1912 della rivista ecclesiastica La Clochette l’Abbé Bouquerel pubblicò una preghiera anonima, dal titolo “Belle prière à faire pendant la Messe”, che avrebbe avuto in seguito una rapida e straordinaria diffusione in molte lingue e presso diverse confessioni religiose. Eccone il testo:

Seigneur, faites de moi un instrument de votre paix.
Là où il y a de la haine, que je mette l’amour.
Là où il y a l’offense, que je mette le pardon.
Là où il y a la discorde, que je mette l’union.
Là où il y a l’erreur, que je mette la vérité.
Là où il y a le doute, que je mette la foi.
Là où il y a le désespoir, que je mette l’espérance.
Là où il y a les ténèbres, que je mette votre lumière.
Là où il y a la tristesse, que je mette la joie.
Ô Maître, que je ne cherche pas tant
à être consolé qu’à consoler,
à être compris qu’à comprendre,
à être aimé qu’à aimer,
car c’est en donnant qu’on reçoit,
c’est en s’oubliant qu’on trouve,
c’est en pardonnant qu’on est pardonné,
c’est en mourant qu’on ressuscite à l’éternelle vie.

            Il 28 luglio 1914 scoppiava la “Grande Guerra”. Mentre si combatteva quella guerra (o, piuttosto, si consumava quella “inutile strage”, come ebbe poi a definirla papa Benedetto XV il 1° agosto 1917), – conflitto che dal 24 maggio 1915 vide anche l’Italia sciaguratamente partecipe, manipolando le coscienze perfino con improbabili baldanzosi canti come quello del Piave, che non servì neppure come marcia funebre per, forse, 780.000 soldati caduti –, l’Osservatore Romano del 20 gennaio 1916 pubblicò quella “bella preghiera”, insieme ad altre, sotto il titolo “Le preghiere del Souvenir Normand per la pace”. Da allora fu poi sempre conosciuta come la preghiera per la pace quasi per antonomasia.

            Rimasta da noi piuttosto nota come “Preghiera semplice”, che recita

O Signore, fa’ di me uno strumento della tua Pace:
Dove è odio, fa’ ch’io porti l’Amore.
Dove è offesa, ch’io porti il Perdono.
Dove è discordia, ch’io porti l’Unione.
Dove è dubbio, ch’io porti la Fede.
Dove è errore, ch’io porti la Verità.
Dove è disperazione, ch’io porti la Speranza.
Dove è tristezza, ch’io porti la Gioia.
Dove sono le tenebre, ch’io porti la Luce.
O Maestro, fa’ ch’io non cerchi tanto:
Essere consolato, quanto consolare.
Essere compreso, quanto comprendere.
Essere amato, quanto amare.
Poiché è
Dando, che si riceve;
Perdonando, che si è perdonati;
Morendo, che si resuscita a Vita Eterna.

cominciò ad essere attribuita a S. Francesco: si pensa che l’occasione sia stata offerta dalla comparsa che fece a Parigi, ad opera del cappuccino P. Étienne Benoît, sul retro di un’immagine di S. Francesco, probabilmente dopo il 1918. Dal 1920, specialmente nel mondo protestante, si dette per certo che S. Francesco ne fosse l’autore.

            Quanto alla diffusione e all’attribuzione di questa preghiera, – desumendo quasi tutto il florilegio delle precedenti e seguenti notizie da Christian Renoux, La prière pour la paix attribuée à saint François, une énigme à résoudre, Editions franciscaines, Paris, 2001 –, basterà accennare che nel 1936 compare in un libro di preghiere anglicano; nel 1945 si diffonde nel protestantesimo tedesco e nella liturgia della chiesa di Ginevra, – in un’appendice di preghiere ecumeniche – con l’esplicitamente asserita paternità di S. Francesco; in quello stesso anno sembra che sarebbe stata letta a San Francisco, nella conferenza da cui nacque l’ONU; il 1° febbraio del 1946 il senatore Hawkes la presentò al senato di Washington come una preghiera sicuramente scritta da S. Francesco e precisamente nel 1226; fatta propria dal movimento gandiano e dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, è stata recitata a Oslo, nel 1979, in occasione del conferimento del premio Nobel per la pace a Madre Teresa di Calcutta; il 27 ottobre 1986 venne recitata in inglese ad Assisi, nella basilica di Santa Maria degli Angeli, durante l’incontro internazionale di pace; è stata cantata a Westminster il 6 settembre 1997; è stata letta in arabo l’8 giugno 2014 nei Giardini vaticani, durante lo svolgimento dell’incontro per invocare la pace in Terra Santa.

            Un’attenta e pacata lettura di questa preghiera ci sembra che porti però a concludere che è decisamente riduttivo vederla solo come una invocazione di pace: certamente lo è, e il sommario elenco sopra riportato di circostanze, eventi e personaggi che in tal senso l’hanno letta e proposta ne costituisce una chiara e autorevole testimonianza. Ma essa, che si debba o si possa recitarla durante la Messa o no, è e resta prima di tutto una “Belle prière” e neppure, a ben guardare, così tanto “semplice”.

            Infatti, se all’odio può opporsi l’amore o, per dire, all’errore la verità, il perdono, più che contrapporsi all’offesa, si presenta come una scelta che esclude la vendetta e, magari, rinuncia anche a farsi o a farsi fare giustizia; al dubbio si contrappone la certezza, ma l’Anonimo va oltre e gli oppone la fede; la luce è opposta alle tenebre, ma il Nostro non prega per portare una sua o una generica luce, bensì quella del Signore. E si potrebbe continuare con altre considerazioni circa la profondità meditativa di quel testo.
            Anche se continuarne l’analisi può, in qualche modo, distogliere dal tema centrale di queste riflessioni, tuttavia si possono trovare spunti che provocano una certa suggestione e possono anche collegarsi ad una fondamentale convinzione rotariana, come, parlando della quale, si dirà.
1 – continua

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