Senz’occhi e senza volto (2)

Paolo e Francesca di Dante non hanno un trascorso encomiabile: figli di Adamo ed Eva, portano in sé tutte le limitazioni della natura umana decaduta, – fin qui, nessuna colpa -; una fatale attrazione (forse anche accarezzata, se la lettura del romanzo di Lancillotto e Ginevra non fu puramente casuale o momentanea, come lascerebbe appunto intendere il fatto che, al dire di Francesca:
Per più fïate li occhi ci sospinse
  quella lettura, e scolorocci il viso;
e fu interrotta,
  quel giorno più non vi leggemmo avante.
solo il momento in cui giunsero al punto del
  … disïato riso
  esser baciato da cotanto amante,),
diventata passione e che, senza che sia detto esplicitamente, li portò all’incesto.
    Il passato per Francesca costituisce un doloroso ricordo del tempo felice, presumibilmente tale, nella memoria e nel rimpianto, anche per Paolo, se si vuol seguire l’adagio per cui chi tace acconsente. Il volto di lei dobbiamo immaginarlo, le sue lacrime no, perché fanno parte della rievocazione:
  dirò come colui che piange e dice.

Di Paolo dobbiamo immaginare un po’ tutto: il volto aperto o nascosto, rivolto a Dante, a Francesca o perso nel vuoto; unito a Francesca come in un abbraccio tenero o quasi a lei incatenato, per dire, come a rendere drammaticamente ed eternamente attuale il momento fatale, privato dell’emozione e con il suo carico di mal perverso;… Compreso il suo pianto e il modo del suo pianto dobbiamo immaginare: tragico, certo, fino a provocare la caduta sorda, repentina  e tramortita del Poeta; ma piange per sé, su di sé o anche per lei e su di lei? Perché i dannati di un inferno poetico sono assai diversi da come li dipinge la teologia dell’aldilà.

È stato detto che il commiato con effetto scenico:
  io venni men così com’io morisse;
e caddi come corpo morto cade.

dispensa dalla difficile conclusione del Canto con l’aggiunta di altre parole. Tuttavia il Canto VI inizia con stretto collegamento al precedente:
Al tornar della mente, che si chiuse
  dinanzi alla pietà de’ due cognati,
  che di trestizia tutto mi confuse,…

Ma quand’anche la nota critica avesse un qualche fondamento, mi verrebbe voglia di ripetere, con diverso intento e in stato di lucidità mentale (credo), l’esclamazione del dottor Azzeccagarbugli: “Io…. ringrazio il bell’accidente che ha dato occasione a (1)” questo bell’espediente per separarsi da quella coppia unica.

C’è un po’ sempre stato, e continua ad esserci, una sorta di affanno nel cercare da parte di alcuni di proiettare tutto l’episodio di Paolo e Francesca in un clima di romanticismo ante litteram; da parte di altri di limare parole come pregare, pace, pietà e aggettivi come affettuoso, grazioso, benigno, amico, gentile, triste, pio…. per attenuarne il contrasto stridente con la bufera infernal e l’aere perso. Il problema, se è tale, è diventato ancora più grave e si è spostato a monte: mandato in pensione il Limbo e archiviata la pena del danno, dove sta di casa Virgilio, l’altissimo poeta (2), e con lui Omero, Orazio, Ovidio e Lucano; chi accompagnerebbe Dante per due terzi del suo cammino ultraterreno?

Per parte nostra, senza provare a risolvere veri o ipotetici problemi, noi abbiam fatto come uno che vada al Carmine o alla galleria degli Uffizi; che rilegga Dante, dopo averlo letto sui banchi del liceo Michelangiolo; abbia visto, mettiamo, Rigoletto cantato come si deve, in un allestimento scenico degno di questo nome e in un teatro vero…. e ha provato a buttar giù delle impressioni. (fine)

NOTE
Tutte le citazioni, salvo quanto segnalato sotto:
DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Inferno, Canto V,76-142
 (1) ALESSANDRO MANZONI, I Promessi Sposi, Cap. V
(2) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Inferno, Canto IV,78

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